Diversità linguistica o uniformità culturale ?
Contro
l’accentramento burocratico, il livellamento culturale e la cancellazione delle
diversità linguistiche nell’Unione Europea. L’esempio sorbo e
considerazioni sull’insegnamento delle
lingue d’origine ai figli degli immigrati in Germania. (articolo preparato per <www.webgiornale.de>)
Un esempio in
Germania.
Amo la lingua
tedesca di cui ero professore abilitato all’insegnamento nei licei in Italia.
Ma altrettanto se
non di più amo le lingue minoritarie e quelli che comunemente sono chiamati
dialetti (ma che per ogni linguista che si rispetti sono lingue degne del
medesimo rispetto di quelle ufficialmente riconosciute come tali: e che si
distinguono dai dialetti non per superiorità intrinseca ma unicamente perché
dispongono di … un esercito e di una bandiera).
In Germania
esistono varie minoranze etniche e linguistiche, ma una in particolare era
stata oggetto di odio e repressione da parte del regime hitleriano: i Sorbi.
La loro lingua ( https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_sorabe)
viene ora tutelata e insegnata in alcune scuole e nell’università di Lipsia
esiste un dipartimento per il suo studio (Institut za sorabistiku).
Cè anche un quotidiano pubblicato in questa lingua, il “Serbske Nowiny”
Il sorbo o sorabo è indubbiamente una
lingua slava, chi conosce il polacco ed il ceco riesce a comprenderla e ad
apprenderla senza grosse difficoltà, usa l’alfabeto latino e si distingue
immediatamente dal ceco perché invece della “v” utilizza la “w”. La lingua sorba
ha un notevole patrimonio letterario e culturale, basti ricordare che anche Gottfried
Wilhelm Leibniz era di origini sorbe.
Il territorio di
questa minoranza sorba alla fine della seconda guerra mondiale era venuto a
trovarsi nell’area della RDT, che invece di continuare le persecuzioni del
periodo precedente aveva concesso piena autonomia linguistica e organizzativa a
livello regionale. Queste norme di tutela vennero recepite nel trattato della
riunificazione tedesca, ma senza troppo entusiasmo tanto che all’inizio del
secolo attuale ci furono proteste per il mancato rispetto degli accordi ed il
taglio di fondi destinati alla tutela della lingua e cultura sorba.
La situazione in
Italia
In Italia le
minoranze linguistiche sono ancora più numerose( Albanese, Catalano, Croato, Francese, Friulano, Greco, Ladino, Occitano,
Sardo, Sloveno, Tedesco), ma
a livello di insegnamento le iniziative sono lasciate ai privati. Negli anni
50’ il dialetto a scuola era assolutamente vietato e causa di punizioni.
Successivamente invece di divieti coercitivi
si diffuse fra gli insegnanti la convinzione che l’uso del dialetto si
dovesse combattere alle origini e quindi venne predicato ai genitori di
“parlare soltanto italiano” coi figli. L’argomento per sostenere una simile
folle concezione dell’ apprendimento linguistico era che i bambini
non avrebbero avuto problemi di “interferenza linguistica” nell’apprendimento
dell’italiano se fossero stati preservati dalla “nociva” esposizione al
dialetto. Una convinzione tanto radicata quanto infondata (a dimostrare il
contrario basti menzionare Pasolini, o il Nobel letteratura Dario Fo, che
praticavano i dialetti anche come forma letteraria insieme all’italiano). Quasi
che il cervello umano fosse come una torta, e che le lingue fossero “fette”,
quindi ad ogni nuova lingua si rimpicciolissero le fette ! Eppure sono
esattamente queste convinzioni assurde e scientificamente smentite e dimostrate
del tutto infondate (anzi, vero è il contrario, più lingue si conoscono e più
aumentano le capacità linguistico-espressive).
… e ritornando
alla Germania, il caso dei figli degli immigrati.
Per la mia intera
carriera professionale come insegnante d’Italiano ai figli degli emigrati in
Germania ho constatato e – invano – combattuto contro questa falsa credenza. Su
un punto mi sbagliavo: all’origine non c’era assolutamente alcuna riflessione
linguistica o psicologica, ma unicamente una inconfessata “resistenza alla
diversità” .
Infatti, mentre
consigliavano ai genitori italiani, turchi, spagnoli di parlare tedesco coi
figli, (fosse anche il “Gastarbeiter-Deutsch” !!) gli stessi docenti nulla
avevano da obiettare all’introduzione della lingua inglese fin dalle prime
classi. È vero, tanto male non ne poteva fare,e ben poco restava visto che era
generalmente insegnata da … gente che non la conosceva. Interessante, en
passant, il fatto che il medesimo consiglio non veniva di regola mai dato ai
genitori greci: sapevano che gli avrebbero riso in faccia rispondendo a tono:
“abbiamo mantenuto la nostra lingua in 500 anni di occupazione turca e la
dovremmo abbandonare ora dietro i vostri assurdi consigli ?!
Ed infatti gli
alunni di origine greca in casa parlavano regolarmente questa lingua coi
genitori e finivano quasi tutti al ginnasio-liceo poiché avendo appreso con sicurezza fin dalla nascita una lingua che all’ingresso nella scuola
padroneggiavano con sicurezza erano meglio in grado di apprendere poi il
tedesco. Cosa purtroppo non vera per tutti gli altri bambini che, esposti al
“Gastarbeiter-Deutsch” dei genitori entravano invece nella scuola privi di un
patrimonio linguistico sviluppato e quindi non avevano le basi per un
apprendimento proficuo del tedesco (esistono al proposito molti studi empirici
che dimostrano la stretta relazione fra successo scolastico e padronanza della
lingua d’origine).
Ma tant’è questa
era la situazione. Debbo aggiungere tipicamente tedesca, poiché nei tre anni
trascorsi a Parigi mai ebbi occasione di sentire da un solo insegnante francese
analoghi pregiudizi. Che restano dunque localizzati geograficamente e che non
riguardano soltanto i figli degli immigrati. Ne ebbi conferma quando incontrai
per la prima volta un gruppo di insegnanti sorbi: anche loro dovevano lottare
contro la medesima avversione al plurilinguismo da parte dei colleghi della
lingua dominante.
Essendo stato professore di inglese abilitato all’insegnamento nei licei
non ho certo personalmente nulla da obiettare alla diffusione dell’inglese che
è di fatto divenuta la “lingua franca” in tutta Europa. Chiunque partecipi ad
un “Erasmus Party”, a Lisbona o a
Parigi ,a Praga o Varsavia si renderà subito conto che la comunicazione fra gli
studenti avviene esclusivamente in inglese, un inglese povero ovviamente, che poco a che fare ha con la lingua di Eliot o Fielding o Joyce. Quello che va bene a fini
pratici in queste o analoghe occasioni (dove a volte bastano più che le parole
gli sguardi) è comunque un codice ristretto e dunque la base della formazione
linguistica quale sostegno alla
formazione dei concetti e del pensiero tout court deve essere la lingua pienamente padroneggiata dai genitori prima e coltivata ed insegnata poi come lingua di cultura nelle scuole. Una situazione da cui in Europa siamo ancora ben lontani, rischiando di perdere un patrimonio di lingue che gli immigrati portano con se e che invece di tutelare e mantenere si cerca di distruggere nell'illusione di favorire una "integrazione" che in realtà è assimilazione pura e semplice se non brutale negazione della diversità e che è anche sempre ricchezza culturale per ogni Paese di accoglienza.
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