Freitag, 4. Januar 2013



 Chez George ovvero : i dipinti ritrovati
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   (*) “Cuando la realidad se vuelve irresistible, la ficción  
           es un refugio. Refugio de tristes, nostálgicos y
            soñadores.”  (Mario Vargas Llosa),
(*) Quando la realtà diviene insopportabile, la finzione letteraria è un 
      rifugio. Un rifugio di tristi, nostalgici, sognatori…
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(**)   “Kdyby se věci děly tak, jak je přirozeno naší duši,  dály by se zázraky.” (Karel Čapek, Boží_muka)           
**) … se le cose avvenissero così, come sembra  naturale al nosto animo,  accadrebbero miracoli 
                                                     
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Premessa 
      Questo breve racconto è stato scritto da me in tedesco e questa traduzione parimenti da me eseguita non è ancora stata rielaborata (lo sarà per l'eventuale stampa).
Un ringraziamento a tutti coloro che trovando interesse a leggere questo testo mi segnaleranno gli inevitabili svarioni di scrittura o le debolezze stilistiche ed espressive.


Racconti brevi e non sempre edificanti. Ovvero: petizione contro l'eccesso di serietà.
("gegen den tierischen Ernst")

In molti sono a credere, vuoi a sostenere:
la serietà con l'ingegno ha poco a che vedere:
tanti nascondono con  severità  apparente
l' intelletual capacitá carente
e spesso ad inventiva, divertimento
serietà antepongono e non discernimento.

L'arguzia certo non garante è d'ingegno
ma essa più della serietà richiede impegno.
Troppo sul serio prender l'esistenza
non certifica altrettanta intelligenza
furon sempre gli ingegni più dotati,
che giocondi ci hanno affascinati.

Questo preambolo modesto
per introdurre un libertino testo.
Mi oriento all'esempio di quel grande
che la scienza moderna ha ben fondato
dico di Galileo, che ritenne sprecato
scriver libelli sol per educande
e dilettossi a scriver la seguente ballata
che a scuola mai ancor fu menzionata:

""CAPITOLO CONTRO ‘L PORTAR TOGA
(...)
Il maggior mal che si trovi nel mondo;
Il quale ognun che vede senz’occhiali,
Che sia l’andar vestito, tien per certo;
Questo lo sanno in sino gli animali,
Che vivono spogliati e allo scoperto;
Non istan mai vestiti o al coperto.
Volgo poi l’argomento, e ti conchiudo,
E ti fo confessare a tuo dispetto,
Che ‘l sommo ben sarebbe andare ignudo.
(...)
E troverai che tutto quanto l’anno
Andava nud’ognun, picciol e grande,
Come dicon i libri che lo sanno.
Non ch’altro, e’ non portavon le mutande,
(...)
Non occorreva andar per cognettura,
Perchè la roba stava in su la mostra,
E si vendeva a peso e a misura.
E quest’è la ragion che ci dimostra
Ch’allor non eron gl’inconvenienti,
Che si veggon seguire all’età nostra.
Quella sposa si duol co’ suo’ parenti,
Perchè lo sposo è troppo mal fornito,
(...)
                              (Galileo Galilei)

Galileo non la predica in chiesa stava ad ascoltare:
le oscillazioni del lampadario lo facevan meditare
e scoprì cosí del pendolo la legge
mentre invano il prete ammoniva il suo gregge.
Se l'esempio valer può da giustificazione
posso andare anch'io un po' contro il pudore
e dallo spunto di scientifico argomento
cercar di trarre un po' divertimento.

Carico di punta

„Lei non ha capito un cazzo“ urló il docente, „si riprenda il libretto, studi seriamente e si ripresenti quando avrà capito la statica!“
Gigi si alzó pallido e frastornato, l’esame era cominciato bene, si sentiva ormai quasi salvo, poi avrebbe presentato la tesi e nel giro di un anno si sarebbe laureato ingenere civile.
Maledizione, aveva scambiato le formule di Eulero con quelle di Rankine. E dimenticato il metodo omega, la sintesi del problema.
Che il peso sopportato da un pilastro dipendesse anche dall’altezza era cosa evidente, la possibilitá di snervatura dovuta a flessione era in evidente funzione dell’altezza. E sia lo svizzero Eulero che lo scozzese Rankine avevano trovato ingegnose formule per determinare esattamente la sezione ottimale per garantire la resistenza dei solidi soggetti a carico di punta.
„Un cazzo non ho capito“ ripeteva tra di se Gigi scendendo le scale del politecnico mentre guardava una delle rare studentesse di ingegneria, una certa Claudia, gran figa e quel giorno con una minigonna vertiginosa. „Glielo farei vedere io il carico di punta“ pensava Gigi, ed intanto stava rifacendo mentalmente i piani per i prossimi mesi. Avrebe dovuto ripetere l’esame, rimandare la scrittura della tesi, ed intanto trovare un lavoro nei mesi estivi per sbarcare il lunario.
Mi dovró rassegnare alla solita rottura di palle – anzi di cubi – si diceva.
La legislazione impone infatti rigorosamente ai direttori dei lavori di prelevare campioni del calcestruzzo usato durante i lavori, etichettarli scrupolosamente, e sottoporli poi in laboratorio a prove di rottura per determinare se la resistenza è quella corrispondente ai dati del progetto.
Questo sulla carta, poiché la ditta dove lavorava nei periodi di vacanza altro non faceva che produrre cubetti, romperli e fornire la cartaccia prevista dalla legge. Ne aveva rotti ormai a migliaia di quei cubetti, senza sapere né dove fosse il cantiere di provenienza né il progetto: infatti un reparto della ditta costruiva i cubetti, un altro li rompeva. E il suo compito era quello di compilare la documentazione fasulla in osservanza del Decreto Ministeriale 14 Gennaio 2008.
„Mi consolerei volentieri con Claudia“, pensava Gigi mentre saliva le scale dietro di lei guardandole le bellissime gambe fin dove la vista poteva arrivare sotto la minigonna…  e rischierei anche di rompermi il cazzo caricandomela di punta!
In quel momento gli venne un’idea geniale per rendere meno monotono il lavoro coi provini.
Perché proprio cubetti? La legge non prescrive una forma particolare, potrebbero anche essere cilindri … magari con una semisfera al colmo … insomma visto che mi dvró rompere le palle per mesi facendo le prove di rottura coi provini, perché non foggiarli a mo' di cazzi? In fondo visto il sistema corrotto, una vera farsa, la prova non vale veramente un cazzo!
Detto fatto, la settimana seguente convinse il caporeparto che per una modifica del Decreto ministeriale i provini avrebbero dovuto essere di forma cilindrica. Non trovó resistenza, in fondo tutti sapevano che si trattava di una finzione. E Marco, il capoturno accettò anche la variante con la semisfera in cima. Mancavano soltanto le palle. Ma non fu un problema, coi resti delle semisfere si potevano aggiungere quante se ne volevano.
Fu un divertimento per tutti, dopo anni passati a rompere cubetti di calcestruzzo, poter sottoporre a prove di resistenza manufatti di calcestruzzo che imitavano il membro maschile  era una sfida. Invece di farli a macchina si divertivano di piú a farli a mano: dimensioni disumane, di tutti i diametri e lunghezze.
Gigi scoprí grazie a questi esperimenti la debolezza intinseca delle leggi di Eulero e di  Rankine, ambedue perfette in teoria, ma inesorabilmente invalidate nella pratica della rottura dei cazzi. Infatti le rigorose leggi matematiche non tengono conto delle variazioni di diametro e di curvatura dei cazzi - pardon provini - di calcestruzzo formati manualmente.
Gigi aveva iniziato a studiare la cosa scientificamente, ed aveva già sviluppato alcune formule aggiuntive con le quali correggere sia Eulero che Rankine: l’indeterminatezza delle sezioni e l’imperfezione dell’asse dei solidi soggeti a carico di punta potevano effettivamente essere circoscritte e calcolate con i metodi della matematica differenziale, Leibnitz docet.
Ma nel frattempo gli era venuta un’idea ancora più spettacolare. Invece delle macerie informi come risultato della rottura dei cubi, i cazzi di calcestruzzo si rompevano sempre in „tre parti uguali e distinte“ : capppella, parte intermedia e palle. Su questo risultato empirico comprese che poteva scrivere una tesi che avrebbe ricevuto la dignitá di stampa (ovviamente descrivendo con termini meno espliciti i provini).
Ma oltre a ció, avendo scoperto che gli operai si portavano via ogni tanto qualche pezzo, probabilmente per fare qualche scherzo, gli venne un’idea ancora più promettente.
Si accordó col caporeparto, e una parte die provini venne etichettata in modo inconfondibile.
I singoli pezzi erano identificati ed era impossibile riprodurli.
Con tanto di registrazione notarile e campagna di stampa finanziata da un noto cementificio,
si aprí la caccia al tesoro: chi avesse per primo trovato i tre frammenti dello stesso membro frantumato durante le prove di carico di punta avrebbe vinto centomila euro.
I pezzi venivano sparsi accortamente in luoghi completamente diversi: mercati, negozi, pubbliche vie, insomma dopo un paio di mesi c’erano palle di cemento e cappelle ovunque nella zona. Qualche mascalzone aveva fatto incetta di palle e le aveva mese nella pila dell’acqua santa in alcune chiese, scatenando l’ira dei parroci, i quali avevano notato che non poche vecchiette, immersa la mano nell’acqua santa e trovatesi in mano un framento di membro maschile in calcestruzzo, invece di lanciare un grido d’orrore se l’erano messo bellamente in tasca, sperando anch’esse di trovare le parti rimanenti per vincere il concorso (o se proprio non erano quelle giuste, per avere un robusto membro completo a disposizione).
La gente aveva presto capito che era impossibile trovare nella stessa zona i tre pezzi, e grazie ad internet i più astuti si erano messi in collegamento organizzando incontri per ricomporre i pezzi trovati.
Arrivavano persone di ogni ceto ed etá con borse piene di palle, parti intermedie e cappelle, che piazzavano sui tavoli appositamente predisposti provando a connettere: manco per il cazzo che i pezzi andavano bene.
Fu una suora ad avere la mano felice col cazzo di calcestruzzo: aveva trovato una cappella gigantesca davanti alla chiesa, una sua consorella aveva trovato palle di sproporzionata misura nei giardini del convento, e la parte intermedia l’aveva trovata una novizia nella cesta della verdura. Unite andavano perfettamente insieme al millimetro. Fu una giornata gioiosa, la madre superiora fece recitare un rosario di ringraziamento poiché coi 100.000 euro di premio avrebbero potuto far restaurare gli affreschi della … cappella del convento.
Ovviamente era altamente sconveniente che fossero proprio delle suore a riscuotere il premio, quindi le Carmelitane decisero di consegnare il tre pezzi del cazzo gigantesco ad un avvocato di fiducia, con tanto di delega per garanzia.
Gigi aveva fatto di tutto per scoprire l’identitá delle persone che avevano trovato i pezzi  del membro smisurato, ma l’avvocato era stato irremovibile: per nessun motivo avrebbe mai rivelato l’identità delle mandanti.
Tuttavia, pedinadolo, Gigi era arrivato fino al convento: non ne aveva la certezza, ma come ottenerla? Fu uno dei pittori a metterlo sulla via giusta: sí, da anni le Carmelitane volevano restaurare la cappella, attendevano fondi che non arrivavano mai, e poi improvvisamente  li avevano trovati. E non potevano essere arrivati da Roma, poiché di certo si sapeva che i sussidi vaticani per i conventi erano stati tagliati.
Invece di buttarla via inorridita, la novizia aveva raccolto la cappella di calcestruzzo deposta abilmente da Gigi senza farsi notare ed era rientrata di corsa in convento: evidentemente l’esca aveva funzionato.
„Ma in fondo che cazzo me ne frega ormai“, pensava fra di se Gigi. Aveva appena concluso il corso di laurea, sputtanato il docente di statica con le formule sviluppate e spiegate nella tesi di laurea di cui aveva pubblicato un estratto in alcune riviste specializzate, ed era stato assunto dal cementificio con uno stipendio di tutto rispetto.
Era come si suol dire un uomo arrivato … una carriera precoce…. grazie ai cazzi di cemento…
Ma invece no, ... maledizione, ogni volta che andava a letto con una ragazza e questa si metteva a cavallina su di lui, come piace soprattutto alle giovinette, non poteva far a meno di pensare alle sue formule sul carico di punta …ed ecco che gli veniva molle di colpo: non reggeva il carico di punta !


“AUSTERONAUTI”: una nuova corrente della scuola neoliberista

Si erano posti l’obiettivo di risanare il debito pubblico con una strategia apparentemente plausibile: ridurre le spese statali ed aumentare gli introiti fiscali.
Avevano pensato a tutti i dettagli meno che ad un piccolo particolare: che l’economia continua a funzionare secondo le sue proprie leggi e non assecondando i desideri o le illusioni dei governanti.
 E fra le leggi ferree c’è quella della domanda e dell’offerta: se diminuisce la domanda diviene inutile ed impossibile mantenere o accrescere l’offerta.
Prima conseguenza immediata la recessione economica e la disoccupazione. 
E poiché gli introiti fiscali ( se duraturi e non estemporanei come quelli ricavati dalla tassazione di immobili o dalla svendita del patrimonio statale con privatizzazioni selvagge) devono provenire dall’accresciuto scambio di beni e quindi dalla crescita economica, l’aver dimenticato questo piccolo particolare ha condotto insieme alla recessione anche ad un aumento del debito pubblico, dovuto alla conseguente riduzione – questa volta duratura e strutturale – del prelievo fiscale.
Qualunque allevatore sa che non è diminuendo il foraggio che le vacche danno più latte, e che se è necessario risparmiare non è certo affamando i bovini che un’azienda  agricola può sperare di riprendersi. 
Ma i nostri “austeronauti” non sono di questo mondo, volano osservando  dall’alto le miserie umane con sguardo corrugato ogni volta che vedono il panorama non corrispondere alle mappe teoriche da essi disegnate.
Navigano costoro nel vuoto spazio delle teorie economiche neoliberiste, fra i pianeti Friedrich August Hayek, Ludwig von Mises, Milton Friedman e altri meno noti della lontana galassia dei  "Chicago Boys" e degli asteroidi generati dalla frantumazione delle idee neoliberiste  mal digerite e incoscientemente applicate da politici del calibro di Ronald Reagan, Margaret Thacher ed Augusto Pinochet, ai quali tutto si può rinfacciare meno di l’ eccesso di democrazia.
 Epigoni neoliberisti, gli “austeronauti” contemporanei, che si distinguono per saper compensare la loro carente intelligenza dei problemi economici con un’estrema rigidità nell’applicazione delle formule (al loro confronto qualunque mulo appare come un miracolo di flessibilità), altro non fanno che riproporre la nota ricetta “more of the same” (cioè sempre la stessa medicina sbagliata, ma in dosi crescenti) quando devono ammettere che i risultati del loro incosciente agire producono effetti opposti e devastanti. 
In alcuni casi, come per un noto professore di un’università milanese, si sarebbe quasi tentati di augurargli un successo alle prossime elezioni, purché non ritorni ad insegnare diffondendo fra i malcapitati studenti di economia le deliranti teorie mal digerite, della cui applicazione gli eloquenti risultati sono dinanzi agli occhi di tutti.
Parafrasando una frase famosa “tutto è perduto fuorché l’onore” si può certo riconoscere che grazie alla cura di questo “austeronauta” l’ Italia è rimasta in Europa “a testa alta”: ma ciò è unicamente dovuto al fatto che non c’è altra scelta che tenere alta la testa quando si è nella mer… fino al collo. 

Donnerstag, 3. Januar 2013


Pizza quattro lezioni  

I published this article in a weekly in Germany as answer to the law that started the total privatization of the Italian schools abroad. The law was justified with the supposed aim of saving money keeping the same standard of cultural offer to the children of migrant Italian workers. But in fact the real intention was to give money to private organizations and by this move control them politically. While the cultural institutions have since then collapsed, the real aim has been politically achieved. The sad destiny of the Italian schools abroad can also be seen as a model and essay of what has been done later in Italy, subtracting financial means from the public schools and pumping money into private (mostly religious) schools buying political support from the Cath.Church. Under this point of view this article is unluckily still much up to date.
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Una modesta proposta per i corsi d' italiano all' estero (estate 1993)
Pizza quattro lezioni
Utilizzando la sua rete gastronomica, l' unica sua struttura ben funzionante e diffusa in tutto il mondo, il nostro Paese potrebbe risparmiare ancora di più garantendo a tutti i suoi emigrati il contatto colla lingua e la cultura italiana.

Unico fra tutti i Paesi d' emigrazione, colla legge 243/1993, l' Italia  ha rinunciato al monopolio statale nella diffusione della cultura all'estero subappaltando i corsi  d' italiano  ad Enti ed associazioni private   al proclamato fine di ottenere i risparmi necessari a sanare il bilancio pubblico (ma utilizzati nel frattempo per migliorare il trattamento economico del personale diplomatico- consolare).
Ciò è avvenuto  già in era preberlusconiana  e  dunque le proposte che qui avanziamo non  possono essere viste come  omaggio al Cavaliere o ai suoi  attuali alleati di governo.  Ma certamente possiamo pensare che  l' idea non gli dispiacerà  : nel caso la potrà far sua poiché rinunciamo alla nostra paternità per  il bene del Paese.
  
Qualche precedente  per capire il presente
   A prescindere dai successivi aggiustamenti legislativi, che meglio si dovrebbero definire una continua sovrapposizione di pezze mal cucite, la filosofia degli interventi scolastici e culturali all' estero  rispecchia come è noto ancora  il Testo Unico n. 740 del 1940.
Per far fronte alla massiccia emigrazione  degli anni Settanta  verso l' Europa del Nord, in particolare verso le aree svizzera e tedesca,  era stata  approvata nell' anno 1971 la legge n. 153, che risultò ben presto tanto mal congegnata da far ammettere ai suoi stessi propugnatori, di lí ad un decennio, che si era trattato di una legge anacronistica, "nata morta".  Nonostante la chiarissima ammissione del cattivo servizio reso all' emigrazione, nessun progetto di riforma di questa o delle altre leggi  per la scuola all`estero è tuttavia riuscito ad  ottenere l' approvazione  in  Parlamento. Ma non c' è da rammaricarsene, poiché chi abbia esaminato  i vari progetti  con conoscenza di causa  si sarà reso conto che si trattava in tutti i casi di rimedi peggiori del male.
   Per  salvare le apparenze e tenere a bada il personale scolastico che, insieme all' utenza, si trovava a sopportare le conseguenze di una  legislazione  indegna di un Paese civile, venne  concesso nel 1982  il beneficio  del trattamento di ruolo,  inferiore  di gran lunga quello del personale diplomatico -consolare, ma  pur sempre di tutto rispetto  se lo si confronta con  le condizioni giuridicamente ed economicamente avvilenti  del periodo precedente.
   Da quel momento  iniziò la prova di forza fra i funzionari del  Ministero degli Affari Esteri  (già dimostratosi tanto incapace nella gestione  delle istituzioni scolastiche  da  costringere tutte le forze sindacali e vari esponenti politici a chiedere ripetutamente il  passaggio delle competenze al Ministero della Pubblica Istruzione)  e d il personale scolastico  uscito da un precariato che lo aveva privato della possibilità di proporsi come soggetto  di  iniziative riformatrici.
   La prima vittoria dell' apparato diplomatico consolare contro il personale scolastico la si è avuta  appunto colla legge  243/93 che ha ridotto di 1/3  il personale di ruolo  in servizio all' estero (2000 unità) sostituendolo  con precari. E per non avere più a che fare con una realtá come quella delle istituzioni scolastiche nella circolare  (n. 14755/C del 9.7.93) applicativa della legge  243/93  il responsabile di turno (Corrias) cosí  sentenziava : "...al momento dell' assunzione degli insegnanti, dovrà tuttavia essere evitata da parte uffici consolari ogni forma di intervento diretto (predisposizione graduatorie consolari, ecc.) che possa far sorgere nel personale aspettativa nei confronti Stato italiano".
 Questo modo di procedere  ricorda  un po' l' apartheid  sudafricana ora felicemente superata: il personale scolastico  in servizio all' estero non deve sedere  sulle stesse panchine giuridiche  del rimanente personale di ruolo del Ministero degli Affari Esteri.  Deve essere un personale  remunerato ad ore, senza  mutua né assicurazione sociale. Un personale non esistente per lo Stato, che i funzionari hanno  l' ordine perentorio di ignorare.  
  
Il coraggio  delle  riforme
    Con queste  premesse e tenendo conto che il voto per il Parlamento europeo  ha dimostrato  la travolgente popolarità del  Cavaliere  all`estero ( in Germania ha votato per Forza Italia oltre il 50 % degli emigrati)  sarebbe velleitario riproporre  il ritorno allo Stato delle  responsabilità  di gestione delle iniziative scolastiche  quando ormai  la linea politica è quella della privatizzazione.
  D' altra parte, come dimostrano  i dati relativi all' insuccesso degli alunni italiani nelle scuole locali,  dove essi sono da vent' anni all' ultimo posto dietro  i  turchi  e gli altri extracomunitari,  lo Stato italiano si è dimostrato  incapace di gestire  la  scuola all' estero.  Poco importa che l' origine di tutti i mali sia probabilmente da ascrivere all'attribuzione di competenze scolastiche ad un ministero come quello degli Affari Esteri che in  materia  non poteva avere ovviamente né capacità né interesse.  Di fatto, nel gestire la scuola all' estero, si stanno rivelando più efficienti  gli stessi bosniaci, nonostante la tragedia che ha colpito il loro Paese.
    Umberto Eco, a quanto riferisce la stampa, avrebbe espresso il desiderio di essere cittadino di Serajevo. Possiamo anche crederlo. Ma sicuramente ed  a maggior ragione questo desiderio potrebbe essere fatto proprio dagli insegnanti italiani assunti con pagamento ad ore e privi di qualunque riconoscimento del servizio svolto. Colla conseguenza  che  in Germania  i corsi  in tutte le lingue dell' ex Jugoslavia per i figli degli emigrati e dei rifugiati sono iniziati regolarmente lo scorso anno, mentre solo ad anno avanzato (e nemmeno ovunque )  stentavano a decollare quelli d' italiano. Tenendo conto delle premesse non abbiamo alcun motivo di meravigliarcene.  Ma a questo punto ,  esclusa la possibilità  di un ripensamento   da parte  delle autorità responsabili del nostro Paese, non si può che far perno sull' unica virtù indiscutibilmente italiana, quella della fantasia nell' arrangiarsi.
  
Basta colle mezze misure, privatizzazione  totale
   L' attuale forma di parziale subappalto della scuola all' estero  è  troppo primitiva per  poter funzionare.  Cosí  facendo prima o poi  anche l' esperanto  avrà  maggior successo  dell' italiano.  Come si fa infatti a  tenere in piedi un' organizzazione  (si fa per dire)   in cui  lo Stato  mette a disposizione  di Enti  ed associazioni, prive ovviamente di competenza, fondi cospicui per far loro gestire l' insegnamento e nel contempo vieta ai propri funzionari (presidi,direttori didattici e consoli ) di  comportarsi in modo da  "far sorgere aspettative nei confronti dello Stato" da  parte del personale?
    E`evidente che cosí non vi può essere controllo alcuno  e che  di fronte a tutte le altre nazioni , come pure alle autorità scolastiche dei Paesi ospitanti,  l' Italia cade nel ridicolo perdendo ogni credibilità.
      Per salvare almeno le apparenze occorre dunque far credere  al mondo che la strada ora scelta  è frutto di una  matura riflessione e non  di un colpo di sole (la legge 243/93 è stata approvata il 17 luglio per la cronaca).
   Ed allora perché non procedere  per tagli radicali?
Via tutti i rimanenti docenti di ruolo selezionati con  severi concorsi fra il personale delle scuole in Italia e periodicamente  aggiornato  a spese dello Stato. E via anche dirigenti e funzionari .
    Agli emigrati non è stato concesso il voto all' estero, che costava poco. Si dia loro almeno la responsabilità piena nella gestione di tutto ciò che riguarda i rapporti coll' Italia. 
  
Passaporto in gelateria
Tenendo conto che le due principali incombenze di un consolato sono il rilascio di passaporti e la gestione delle  iniziative scolastiche,  possiamo  senza problemi  procedere alla chiusura di tutte le rappresentanze.
Diamo il giusto riconoscimento agli emigrati che si sono fatti onore all` estero  colla loro intraprendenza economica :  sostituiamo tutti  i consoli e gli ambasciatori di carriera, che costano un occhio all' erario, con  consoli ed ambasciatori  o n o r a r i, da scegliere ad esempio con referendum democratici  fra i migliori gestori di pizzerie e gelaterie in ogni comune.
  In questo modo l' Italia avrebbe la più fitta rete  diplomatica nel mondo col minore investimento.  Pensate  al vantaggio di trovarvi ad esempio in un paesino sperduto della Foresta Nera o nella Pampa argentina  e  poter ottenere  il rinnovo del passaporto scaduto  dal console-pizzaiolo che  fra un piatto di rigatoni ed  una  zuppa di pesce troverebbe il tempo di  mettere un timbro sul vostro documento ?
   E che dire dei  rapporti  ad alto livello politico :  in ogni Paese  vi sono italiani che hanno raggiunto ottime posizioni sociali, che parlano la lingua locale correntemente senza dover ricorrere ad interpreti come di solito si rende necessario coi nostri funzionari inviati dall' Italia : quanti miliardi risparmiati per un servizio  che `sarebbe poi incomparabilmente più efficiente.

  Già, poiché un ambasciatore onorario oltre a non costare nulla  offre ovviamente maggiori garanzie : lui infatti, a differenza del personale di carriera del M.A.E. , in quel Paese ha scelto di restarci e non può permettersi magre figure. Né  gli si potrà chiedere  di adoperarsi  per far passare tangenti, visto che  non avrà ambizioni di carriera  o politiche.
  
 E la scuola ?
   In effetti qui il problema è un po'  più complesso. Se infatti non ci sono dubbi sul fatto che che un  buon gelatatio  possa  essere un ottimo console onorario, per insegnare  l' italiano occorre pur sempre  una preparazione professionale.  Ma  non sono certo i diplomati ed i laureati che mancano, bensí i soldi  per retribuirli dignitosamente.
 
Ed allora ecco la soluzione meno costosa :  in ogni gelateria, in ogni pizzeria  un corso d' italiano.  Gestito dal  proprietario, che tenendo al buon nome del locale  avrà tutto l' interesse di farlo funzionare perfettamente: guai a perdere un allievo, cioé un cliente abituale; guai a non curare la partecipazione frequente dei genitori  con riunioni che fra l' altro garantirebbero ulteriori introiti.
    E quegli stessi insegnanti che attualmente conducono una magra esistenza  col pagamento  ad ore e quindi devono ricorrere a lavori supplementari per vivere, potrebbero trovare nel locale stesso una seconda ,più remunerativa attività per sbarcare il lunario pur senza rinunciare ad esercitare la professione per la quale si sono laureati .  Chi  vorrà  mettere in dubbio che  la lezione impartita  agli alunni-clienti  non risulti più efficace  del solito insegnamento  nelle scuole locali  dove, particolarmente in Svizzera e Germania, le aule riservate ai corsi di lingua materna sono negli scantinati  ed alunni e  insegnanti sono considerati intrusi ed a malapena sopportati?
   E non veniteci a raccontare  che  l' ambiente  non favorisce la concentrazione: non abbiamo forse anche noi a suo tempo preso lezioni di chitarra  o di fisarmonica  dal  barbiere del quartiere che, all' arrivo di un cliente, continuava a seguire i nostri esercizi suggerendoci gli accordi  mentre lavava i capelli?   Immaginate  quanto più allettante  sarebbe un dettato  svolto dall' insegnante-cuoco  dallo sportello della cucina   mentre  controlla la cottura delle pizze ?
    E che dire delle correzioni  colle mani profumate di   basilico ed origano:  la giusta ortografia, come ci insegnano gli psicologi si fisserebbe  in modo indelebile nelle giovani menti  insieme agli aromi  inconfondibili della  cucina nazionale.
      Lungi dal chiedere  contributi  allo Stato come sono costretti a fare gli enti e le associazioni,  gonfiando come è  inevitabile i bilanci e mettendo in piedi una nuova tangentopoli (e c' è già chi  denuncia  questa tendenza),  questa radicale privatizzazione  consentirebbe  di  risparmiare  su tutta la linea : basterebbe un modesto contributo per ciascun alunno,  un buono scuola  sui generis ma nello spirito  identico a quello già proposto per la scuola privata in Italia.  Una sorta di  buono collegato a consumo  gastronomico,  diciamo  una pizza "quattro lezioni"  ogni mese.  E   un  buono mensa per  gli insegnanti, ai quali però dovrebbe essere riconosciuto il servizio  concedendo, a coloro fra di essi che dovessero  sopravvivere  ad un decennio di tale attività, una cattedra di pedagogia  in una università italiana di loro scelta : sarebbero  infatti  i più qualificati ad insegnare  come  risolvere i problemi dell' insuccesso e dell' abbandono  scolastico.
    Non dimentichiamoci ovviamente nemmeno dei dirigenti scolastici :  la maniera piú  efficiente sarebbe il reclutarli fra i commessi viaggiatori dei locali di ristorazione :  girando da un locale all`altro avrebbero un controllo costante  sull`andamento dei corsi, di cui potrebbero verificare l`assiduità della frequenza già sulla base dei quantitativi ordinati. Ad un calo inspiegabile di ciascun ordine di fornitura seguirebbe immediatamente un`accurata indagine per  stabilirne le cause e sarebbe certamente loro grande premura dare agli insegnanti-cuochi  tutto l`aiuto possibile per risolvere in modo soddisfacente eventuali problemi di disaffezione degli alunni dalla frequentazione delle gelaterie o pizzerie scolastiche.
     Tralasciamo gli altri aspetti secondari  e licenziamo questa modesta proposta  swiftiana colla speranza che essa aiuti a riflettere su che cosa sta succedendo nelle istituzioni scolastiche all`estero. Poiché non crediamo ai miracoli non speriamo in alcun miglioramento. Ma che almeno si sappia a che livello  è sceso il nostro Paese in questo settore.

 Totò  Sapore*  (pseudonimo da un racconto di Roberto Piumini)



Filosofia e religione: 15 tesi

Considero il pensiero speculativo religioso (cioé il tentativo di dare una risposta -impossibile da verificare- alla domanda fondamentale dell'esistenza:"da dove veniamo/dove andiamo?") un diritto fondamentale inalienabile che nulla ha in comune con le "religioni" in quanto sistemi dottrinari dogmatici: e reputo le Chiese in quanto istituzioni come il peggior male dell'umanità, come dimostrano dall'antichitá in poi gli enormi spargimenti di sangue e tutte le più efferate crudeltà commesse dietro giustificazioni religiose.
E' vero che non tutte le Chiese sono da mettere sullo stesso piano, e che addirittura ne esistono di pacifiche e libertarie (es. quella Hussita o quella Valdese: ma proprio per questo sono e restano piccole comunità poiché prive, per loro fortuna, dell'elemento perverso della ricerca del potere e della costrizione dogmatica per evangelizzare assoggettando).
Nelle mie riflessioní religiose, intese nel senso più ampio sopra descritto, mi è stata di costante ispirazione il pensiero di Giordano Bruno, la cui performance di libero pensatore é insuperabile, quasi da Guiness dei record, poiché riuscí a collezionare ben tre scomuniche: dalla chiesa calvinista, da quella luterana e da quella cattolica. E ne avrebbe forse collezionate altre se il criminale "Santo Uffizio" non l'avesse fatto bruciare vivo, salvo poi a pentirsene quattro secoli dopo (uno dei pochi ma indiscutibili meriti del Papa Polacco nel 2000). 
Sinteticamente mi definisco per comoditá di espressione "panteista dubitante" (ma con un limite: se un essere superiore creatore esistesse, esso sarebbe sí onnipresente, ma giammai minimamente presente nelle Chiese come istituzioni). In esse, o almeno nella maggior parte con pochi dubbi vedo invece risiedere l'opposto dell' essere superiore creatore, e cioé quello che volgarmente si chiama "demonio", "diavolo", "satana", "belzebú", da non confondere con quello che in una novella boccaccesca un frate vuol emettere nell'inferno e che invece è, nel suo piccolo (non sempre ...) artefice di creazione.  
Le seguenti tesine dovevano servire come base per uno scambio di vedute con altri interessati da riportare poi in una pubblicazione specifica. Questo progetto non è stato finora realizzato ma nemmeno abbandonato: per questo riporto qui lo scritto, disponibile solo in tedesco ma che tradurrò in italiano quando troverò il tempo. La speculazione su questi temi può sembrare oziosa, ma se vista come strumento per smascherare le pretese totalitaristiche delle Chiese riveste indubbia valenza politica. Dunque i contributi di ogni tipo (anche di segno opposto) sono graditi.


RELIGION, MACHT UND VERNUNFT :  15 THESEN

Ein Versuch über die Verstrickung von Glauben, Jenseitsvorstellungen, Kirchenmacht, Gewalt und Politik. (Graziano Priotto, Universitäten  Konstanz und Prag) – Frühjahr 2007

1) Alle Religionen entsprechen einem universellen menschlichen Bedürfnis nach Erklärung der Existenz.

2) Der Mensch hat keine Möglichkeit, seine Existenz lediglich vermittels der Wissenschaft oder  der Philosophie  vollständig zu verstehen und zu erklären.

3) Die Frage nach dem Ursprung des menschlichen Lebens sowie der Welt (Kosmos, Universum) muss also zwangsläufig unbeantwortet bleiben. Dass es aber einen Ursprung aller Dinge gegeben haben muss, ist die logische Konsequenz und der einzige feste Punkt aller Überlegungen über Religion.

4) Die Menschen haben in allen Kulturen verschiedene Religionen konstruiert und mindestens zum Teil ihr persönliches und gesellschaftliches Leben nach dem Glauben an die Wahrheit dieser Konstruktionen orientiert.

5) Die Verschiedenheit der Religionen ist ein Beweis, dass alle Religionen zweckmäßige menschliche Erfindungen sind.

6) Alle Religionen sind im Hinblick auf die existentielle Frage (Woher kommen wir? Wohin gehen wir?) zweckmäßig, und zwar als Hilfe zur Sinngebung des Lebens.

7) Je mehr eine Religion normiert und sich als Kirche organisiert, desto mehr entfernt sie sich vom ursprünglichen Zweck, und wird Zwang- und Machtinstrument. Die letzte Stufe in diesem Prozess ist die Verschmelzung der politischen mit der religiösen Macht.

8) Die Gefährlichkeit einer Religion (gemessen an ihren Gewaltpotentialen und an der Bereitschaft, zur Unterdrückung derjenigen, die sich nicht unterwerfen wollen) steht im umgekehrten Verhältnis zu:
a)  der Anzahl der vertretenen Götter, also je mehr Götter, desto weniger Dogmatismus und je mehr Freiheit für die Gläubigen; und umgekehrt, je weniger Götter, desto mehr Glaubenszwang (wobei die monotheistischen Religionen die weithin gefährlichsten sind);
b)  die Genauigkeit der Glaubensfestlegung (Dogmatisierung): je mehr Dogmen, desto weniger Freiheit, desto mehr Gewaltbereitschaft für die Durchsetzung des Wahrheitsanspruches;
c) die Rigidität der Überlieferungsstruktur (die Macht und nicht Hinterfragbarkeit der Priesterstruktur und Liturgie hat sowohl defensive als auch strategische Bedeutung, um die Befestigung der Macht und Verbreitung des eigenen Glaubens auf Kosten anderer Religionen).

9) Die Religionen tendieren dazu, schriftliche Quellen als Wort ihrer jeweiligen Götter festzulegen, um damit je als Einzige wahre Erklärungen der Frage nach Ursprung und Werdegang der Menschheit und der Welt zu geben.
10) Eine Rückkehr zum ursprünglichen Zweck (also die Reduzierung der Religionen auf ihre sinnvolle Funktion als Erklärungsversuche des Daseins, gleichberechtigt mit anderen Formen wie Mythen und Sagen) ist nur durch die gegenseitige Akzeptanz und den Verzicht auf den Alleinanspruch auf die Wahrheit möglich.   

11) Solange eine Religion ihren menschenverachtenden Alleinanspruch auf Wahrheit -Ankündigung nicht aufgibt, wird sie stets zur Verfügung der politischen Machtinhaber stehen, und an der Macht teilhaben müssen.
Daher sollten soviele Religionen wie möglich zugelassen  werden.

12) Die Identifizierung der Völker mit einer oder wenigen verwandten Religionen stellt ein unüberwindliches Hindernis auf dem Weg zur Entmachtung der Religionen und Kirchen und für die Befreiung des Glaubens von ihrem Gewaltpotential dar.

13) Ein Volk wird umso mehr Freiheit und Fortschritt genießen, je mehr Religionen von ihm praktiziert werden. Historische Beispiele haben dies längst bewiesen (z.B. Christen, Juden, Muslime auf der iberischen Halbinsel vor der katholischen „Reconquista“ 1492).

14) Die Verschiedenheit der Religionen findet eine Entsprechung in jener der Sprachen: und genauso wenig  wie eine einzige Sprache den Anspruch erheben kann, die Welt besser als alle anderen zu beschreiben, so kann keine Religion sich als einzige „wahre“ selbst erklären.

15) Ein Mensch gilt so viel, wie die Sprachen die er/sie beherrscht: eine Nation gilt dementsprechend auch nur so viel, wie die Anzahl der Religionen, die ihre Bürger uneingeschränkt praktizieren dürfen.  

Präambel
Da es in folgender Abhandlung um die persönliche Einstellung zu einem menschlichen Problem geht, erscheint es mir notwendig, die Voraussetzungen meiner Gedanken darzulegen, denn wenn schon in den Naturwissenschaften die absolute Objektivität nicht existiert (die Forscher verändern zwangsläufig die Objekte ihrer Untersuchungen) kann in Fragen des Glaubens noch weniger vom persönlichen Werdegang abstrahiert werden. 
Weil es nach Max Weber das oberste Ziel aller Forschung ist, die Resultate so darzustellen, dass sie vom weiteren und genaueren Forschen in ihren fehlerhaften Teilen widerlegt  werden, so wird durch die Darstellung der persönlichen Vorgeschichte die Überprüfbarkeit der Thesen  erleichtert.

Die Existenz und das Nichts 
Schon als Grundschulkind hat mich eine Frage oft beschäftigt: wer hat Gott geschaffen?
Da ich katholisch erzogen wurde, war für mich die Frage „Wer hat uns geschaffen“ zunächst beantwortet, aber genauso stark wie ich diese Antwort glaubte, blieb für mich immer als logische Konsequenz die Frage nach dem Ursprung Gottes.
Ich erinnere mich an das überlegene Lachen eines Pfarrers auf meine diesbezügliche Frage: „Du hast beim Katechismus nicht aufgepasst, sonst wüsstest du, dass Gott sich selber geschaffen hat, er ist doch der Anfang aller Sachen“.
Wiederum war dies für mich keine Antwort, denn um sich selber zu schaffen muss wohl jemand oder etwas schon existieren. Und so kam ich auf die Vorstellung vom „Nichts“. Oder vom Vor-Anfang. Vor dem Anfang musste es doch etwas wie einen Vor-Anfang gegeben haben, eine „Leere“ ein „Vakuum“ in dem Gott entstand (in dem er wie auch immer „sich selbst geschaffen hatte“). Erst dann war für mich die Erschaffung der Welt und des Menschen begreifbar, d.h. logisch nachvollziehbar.
Die Vorstellung der „Leere vor dem Anfang“ hat mich immer wieder fasziniert, wenngleich ich mich später und bis heute dann mit konkreteren Fragen beschäftigt habe, und mich lange Jahre die Religion – in der Form der katholischen Lehre nur für ihre politische Botschaft interessierte. San Francesco blieb für mich lange Zeit der einzige Heilige, der mir sympathisch war. Die Kirche war mir zu keiner Zeit angenehm, sondern ich habe sie immer als etwas Bedrohliches empfunden, eher als eine Straf- und Belehrungsinstanz.
Den Katechismusunterricht habe ich als Sechsjähriger besuchen müssen, bei Nonnen in einem Kloster.
Damals war die Regel, diese beide Sakramente während der ersten Schulklasse zu erhalten, jeweils am Vor- und Nachmittag eines Sonntags.
Es war sicher kein spannendes Erlebnis, wahrscheinlich habe ich während dieses Unterrichts nur so wenig wie nötig aufgepasst, und sonst war ich mit der Phantasie woanders oder habe diese Erfahrung verdrängt, denn ich habe daran überhaupt keine Erinnerungen, während ich noch einige Vorstellungen von der Lehrerin der ersten Klasse und sogar den Montessori-Kindergärtnerinnen habe.
Von der Erstkommunion und der Firmung weiß ich nur, dass ich kollabierte, womöglich, weil ich ohne Frühstück war, und auch weil ich schon damals einen sehr niedrigen Blutdruck hatte.
Ich erinnere mich, dass mein Vater vorgeschlagen hatte, mich in ein naheliegendes Café zu bringen, und mich dort mit einem Frühstück auf die Beine zu helfen, während meine Mutter von dieser sündhaften Vorstellung entsetzt war, denn vor der Kommunion musste man unbedingt nüchtern sein, ab Mitternacht ! Ich erfuhr nur viele Jahre später, was meinem Vater selber bei der gleichen Angelegenheit passiert war, nämlich ihm hatte die Hostie im Mund so geklebt und ihn geekelt, dass er sie heimlich unter die Kirchenbank gespuckt hatte. Aber eine Nonne hatte dies beobachtet, und zwang ihn, die Hostie vom Boden mit dem Mund wieder aufzunehmen. Daraus erklärt sich, dass dies für ihn die erste, aber auch die einzige Kommunion seines Lebens war. Und auch seine Abneigung gegen die Nonnen. 
Während meiner Kindheit und Jugend besuchte ich regelmäßig die Kirche mit meinen Eltern, aber ohne religiöse Gefühle. Die Messe war für mich eine nicht zu lästige Pflicht, auch weil ich die Bilder und die Architektur der Kirchen betrachtete und es liebte, mir vorzustellen, welche Änderungen möglich gewesen wären, um daraus etwas anderes zu machen, z.B. ein Wohnhaus. Oder ich dachte, einfach an etwas anderes. Später habe ich meine Aufmerksamkeit den Mädchen geschenkt, ich wählte, wenn es möglich war, Kirchen und darin Plätze, wo ich schöne Mädchen sehen konnte. Und noch später habe ich manches Mädchen nach der Kirche angesprochen, was wegen meiner Schüchternheit für mich eine große Überwindung  bedeutete, dafür konnte ich mich aber während der Messe vorbereiten (welchen Anlass finden, um sie anzusprechen, was sagen, etc.).
Ich habe sogar manchmal Glück gehabt, und  Mädchen nach der Kirche bis nach Hause begleiten können, was damals für mich, im Mittelschul- und Gymnasialalter schon ein großer Erfolg war.  Aber in der Regel waren es Mädchen, die ich aus der katholischen  Jugendgruppe kannte, und daher war die Chance weiterzukommen von vorne herein nicht gegeben.
Für die Initiation waren die meistens älteren „freien“ Mädchen, die in dem nahe liegenden Arbeitergebäude der Tonziegelfabrik wohnten, wo bekanntlich viele Kommunisten und sogar Anarchisten waren, mit denen wir Kinder und Jugendlichen aus guten christlichen Familien nicht verkehren durften, aber dank denen wir  unsere Sexualerziehung – mangels Unterricht in diesem Fach in der Schule – selber lernen konnten, heutzutage würde man sagen “learning by doing“ or „on the job“. Jedenfalls habe ich, wie viele andere Freunde, dank dieser Umstände  meine Unschuld mit 13 oder 14 verloren.
Dies trotz aller moralischen Predigten und Androhungen der Hölle für diese „Sünde“ (die für die katholische Kirche die schlimmste schlechthin ist) , wobei es sich zeigt, dass gegen den gesunden menschlichen Instinkt keine noch so furchtbare Angstmacherei die geringste Chance hat.
Während eines Kuraufenthaltes mit meiner Mutter im Gästehaus eines Nonnenklosters an der Riviera, in dem eine Tante ihr Leben verbrachte, wurde ich regelrecht zum Priesterleben aufgefordert, ich bekam Puppen mit den verschiedensten Talaren geschenkt. Womöglich wurde mein Interesse an der Tätigkeit der Nonnen (Kleidermachen und Gärtnerei) falsch interpretiert: das Schneiden und Nähen von Kleidern hatte ich von meiner Mutter gelernt, die eben Schneiderin war, und die Blumen und Garten-Arbeiten  von meinem Onkel, der eine Gärtnerei besaß, und mir bei jedem Besuch immer viel zeigte und gerne meine neugierigen Fragen beantwortete.
Jedenfalls schien mir das Priesterleben immer total unattraktiv, weil ich schüchtern war, und mir nie hätte vorstellen können, eine Predigt zu halten, wobei das Mönchen- und Nonnenleben mir angenehm erschien.
Gegenüber dem Nonnenkloster, nur auf der anderen Straßenseite, gab es ein Franziskanerkloster, in das ich ebenfalls gerne überall geführt wurde, wegen meiner für ein Schulkind außergewöhnlichen starken Interesses am Garten. Über die unmittelbare Nähe beider Klöster hatte sich mein Vater amüsiert, ganz zum Unmut meiner Mutter. Die sich wiederum sich entsetzt hatte, als ich fragte, warum beide Kloster nicht gemeinsame Sache machten, und Mönche und Nonnen nicht heirateten, denn in meiner Vorstellung war dort doch genug Platz und Arbeit für Familien. Ich wäre gerne in den riesigen Parks und Gärten beider Klöster geblieben, so stellte ich mich vor, wie schön es gewesen wäre, für Kinder dort mit deren Mönch-Nonnen Eltern zu leben.
Bei dieser Vorstellung die ich meiner Mutter naiv vortrug, war sie so entsetzt, dass ich nie mehr wagte, darüber nachzudenken. Ich habe sie nur ein andermal so entsetzt gesehen, als ich Jahre später eine noch dümmere Frage stellte. Ich war inzwischen circa zehn oder elf Jahre alt, und Lieblingsmitspieler von Zwillingsmädchen, die aus einer anderen Stadt kamen, und jedes Jahr die Schulferien bei ihrer Tante verbrachten, im Haus gegenüber meinem.
Es wohnten zwar viele Kinder damals in der Umgebung, aber diese Zwillinge wollten immer nur mit mir spielen. Wir verstanden uns sehr gut, und es ist möglich dass ich - dem Alter entsprechend - in sie „verliebt“ war, denn ich fragte einmal meine Mutter, ob es erlaubt war, im Fall von Zwillingen, auch zwei Frauen zu heiraten. Nach der Reaktion – „allein so ein Gedanke ist schon eine Todsünde!“ hörte ich auf, solche gefährlichen Fragen zu stellen, und war überzeugt, dass ich wohl  „nicht  ganz normal war“.
Was mich zwar nicht besonders kümmerte, ich aber als Warnung verstand, meine Ideen nicht frei zu äußern, so dass ich selbst mit den engsten Freunden meine Gedanken nur nach Überprüfung ihrer „Normalität“ austauschte.
Dass ich nicht wie die anderen war, wurde mir inzwischen schon aus einer anderen Eigentümlichkeit bewusst: bei jeder Erklärung in der Schule, war mein erster Gedanke war, ob die Sache nicht auch anders möglich wäre.
Ich fing immer wieder an, alternative Erklärungen zu suchen, und weil dies ein unwiderstehlicher Drang war, um nicht stetig als zerstreuter Schüler getadelt und bestraft zu werden, gewöhnte ich mir an, gleichzeitig dem Unterricht zu folgen und parallel meine Gedanken zu entwickeln. Was nicht immer glatt ging, aber einigermaßen funktionierte, denn ich bin nie sitzen geblieben, und habe z.T. auch gute Noten erhalten (vor allem im Aufsatzschreiben) und in den naturwissenschaftlichen Fächern.
Die Gewohnheit, gleichzeitig zuzuhören und an etwas Anderes zu denken, ist mir später sehr dienlich gewesen, als ich als Simultandolmetscher studierte, und keinerlei Mühe hatte, in einer Sprache zu hören und gleichzeitig in eine andere zu übersetzen.
Aber ich habe dieses Studium trotzdem bald aufgegeben, weil mich das Übersetzen der Reden von anderen nicht interessierte. Geblieben ist mir aber die Gewohnheit, beim Zuhören, meinen  Gedanken freien Lauf zu lassen. Und die Fähigkeit, jederzeit und in jeder Umgebung mich auf meine Gedanken konzentrieren zu können, egal, was um mich herum passiert.
Ich kann mich also jederzeit und überall aus der Wirklichkeit entfernen, um in meiner Gedankenwelt zu wandern. 

Was hat all dies mit der Religion zu tun?  Sehr viel, denn es erklärt zum guten Teil, dass für mich Religion und Moral (was ich als Sammlung von Vorschriften verstand) schon sehr früh und dann immer ein und dasselbe waren: Verbote und Zwänge.
Sünden und Strafen waren der Stoff, aus dem die Religion bestand. Die Religion bot genauso wie die Schule, fertige Erklärungen über alles, und verbat alle Versuche nach Alternativen.
Nicht denken, sondern glauben und nicht hinterfragen. 
Während der Himmel mich nie besonders interessiert hatte (ich konnte mir nichts darunter vorstellen), hatte ich eine genaue Vorstellung von der Hölle. In dem Dom meiner Stadt war ein Bild der Hölle, schrecklich in seiner realistischen Darstellung, denn zu sehen waren nur Körperteile auf einem dunklen Hintergrund, nicht die sympathischen  und groteske Teufeln wie z.B. bei Brueghel der Alte. Damals hatte ich wirklich Angst vor der Hölle.
In einer Phase meiner Kindheit und Jugend habe ich mir immer wieder vorgestellt, wie schön es gewesen wäre, hätte man auf den Himmel verzichten können, und gleichzeitig aber die Hölle abgeschafft.
Also nach dem Leben weder Preise noch Strafen,  nur ein „Nichts“.
Ich stellte mir dieses „Nichts“ wie einen leerer Raum vor, in dem man nur noch denken konnte, ohne Kontrollen und Folgen.
So ein „Nichts“ musste „vor dem Beginn aller Sachen“ existiert haben.

Dann kam Gott. Und mit ihm die Religion, und die Priester, mit Verboten, Himmel und Hölle. 

In späteren Jahren, während meines politischen Engagements, circa zwischen 18 und 25, habe ich die Religion auf ihre politisch-gesellschftliche Dimension reduziert: ich denke, es war Pasolinis Film „Das Matthäusevangelium“, der mir den Anstoß in diese Richtung gab.
Eine Zeitlang interessierte ich mich daher für die Theologie der Befreiung und der Revolution, vertreten z.B. von Theologen wie Gonzales Ruiz, und für die niederländischen Theologen mit ihrem Katechismus. Dann „entdeckte“ ich die Waldenser, die älteste christiche „Häresie“ Europas, entstanden gleich nach dem vom Papst Benedikt der XII. angestifteten Völkermord an den Albigiensern.
Ihr Verbreitungsgebiet liegt gerade in der Gegend in Italien, wo ich aufgewachsen bin, aber seltsam genug, bis dahin hatte ich keine  richtige Informationen darüber. Die Waldenser galten damals den Katholiken gegenüber ungefähr wie die Islamisten heutzutage. Ich fand aber die Waldenser-Kirche sofort viel sympathischer  als die katholische, weil es in ihr kein Papst und keine Beichte an den Priester (sondern direkt an Gott) gibt, der Sündenkatalog auf das Vernünftige und Nachvollziehbare reduziert ist, und nicht zuletzt wegen des Fehlens von  unbegründeten Sexualverboten, wobei mir zum ersten Mal klar wurde, wie krankhaft die katholischen Kirche in ihrer Sexophobie ist.
Außerdem war diese Waldenser-Kirche immer nur verfolgt (konnte aber immer wieder den päpstlichen Mörderbanden erfolgreich Widerstand leisten), und auch während des Faschismus waren die Waldenser sehr stark vertreten in der Widerstandgruppierungen der „Resistenza“ („Widerstand“ gegen die Nazi-Armee und ihre knechtische Helfer, die Mussolini-Anhänger der italienischen „Salò-Restrepublik“ in Norditalien). 

Der persönliche Werdegang ist untrennbar von der Wahrnehmung der Realität, und ebenfalls für die  Erklärung der Gedanken über die Religion verbunden. Denn es gibt sicher nichts Intimeres und Persönliches – und gleichzeitig gesellschaftlich und soziales - als der religiöse Glauben (oder nicht Glauben, was ebenfalls eine Religion ist).