Il dilemma dell’economia mondiale ed il trilemma europeo.
Nell’edizione odierna del Guardian ritroviamo quello che ormai si può definire il ritornello delle periodiche valutazioni del Nobel dell’economia J. Stiglitz. All’infuori di Mario Draghi che imperterrito continua a praticare il “QE”, cioè a pompare liquidità nelle tasche dei fruitori di rendite e di David Cameron che fa dipendere la permanenza dell’Inghilterra nell’UE dall’ autorizzazione a non regolare il settore finanziario, tutti coloro che capiscono un pochino di economia si sono resi conto che per il risanamento dell’economia mondiale ed europea in particolare, continuare con le predette cure è come somministrare curaro ad un malato di cuore. La diagnosi e la corrispondete terapia per uscire dalla crisi è tanto semplice quanto difficile da far comprendere ai governanti, che hanno ormai scelto di restare marionette nelle mani della finanza speculativa che li foraggia e li sostiene ma che e in caso di disobbedienza è pronta a liquidarli:
“There are other policies that hold out the promise of
restoring sustainable and inclusive growth. These begin with rewriting the
rules of the market economy to ensure greater equality, more long-term
thinking, and reining in the financial market with effective regulation and
appropriate incentive structures. But large increases in public investment in
infrastructure, education, and technology will also be needed. These will have
to be financed, at least in part, by the imposition of environmental taxes,
including carbon taxes, and taxes on the monopoly and other rents that have
become pervasive in the market economy – and contribute enormously to
inequality and slow growth”.(Joseph Stiglitz: What’s holding
back the world economy? In: Guardian, 8.2.2016)
L’articolo citato deve essere stato
consegnato alle stampe da qualche tempo
poiché parla in termini probabilistici di bolle speculative che potrebbero
esplodere, mentre ciò è appunto quanto da alcuni giorni sta avvenendo. Le borse
mondiali crollano, o più correttamente i corsi dei titoli azionari ritornano a
livelli più vicini ai loro valori reali (cioè corrispondenti alla situazione di
un’economia stagnante).
Al Forum economico mondiale di Davos,
già il 27 gennaio del 2012, Gorge Soros, il multimiliardario che manovra fondi
dotati di patrimoni giganteschi aveva testualmente affermato “L’euro potrebbe
sopravvivere … ma con la conseguenza di distruggere l’UE”, spiegando che questa
sua previsione potrebbe essere scongiurata unicamente dall’abbandono della
politica di austerità da parte della Germania. Un giudizio immediatamente
contestato da Wolfgang Schäuble, (“Non sono d’accordo, non è aumentando la
spesa pubblica che si rilancia l’economia”.Cosí il Ministro delle Finanze
tedesco, le cui visioni economiche sarebbero perfettamente adeguate per
amministrare un condominio ma appaiono
sempre più disastrose per la gestione di un moderno Stato industriale.
Il dialogo tra sordi di tre anni or
sono continua immutato e appare sempre
più verosimile che la storia stia per dare ragione a Soros piuttosto che a
Schäuble. La crisi dei rifugiati sta
distogliendo l’attenzione del pubblico (diciamo pure del popolo illuso dalle
promesse e frastornato dalle menzogne dei governanti nonché disinformato dalla
stampa di regime) dai problemi economici ma essi stanno precipitando, e
probabilmente nemmeno Soros alla fine avrà indovinato, poiché sia l’UE che la
sua moneta unica fasulla, un gigante dai piedi d’argilla, crolleranno ambedue
miseramente. Ma non crollerà certo senza fare vittime, e queste saranno in
numero incomparabilmente maggiore di quelle già finora mietute da questa moneta
velenosa.
C’è un tabù che nessuno ha il coraggio
di nominare: l’enorme liquidità creata dal nulla dalla BCE (la Banca
Centrale Europea) è servita finora unicamente a spostare ricchezza verso pochi
fruitori di rendite e speculatori a spese dei bilanci pubblici. Un gioco sulla
pelle dei disoccupati, soprattutto giovani in cerca di prima occupazione,
nonché di fruitori di bassi redditi e di pensionati, spogliati insieme ai
risparmiatori da questa oscena politica economica indegna di ambedue i nomi
poiché non è politica ma inganno e non è economia ma rapina a danno dei meno
abbienti.
Una rapina non soltanto sui piccoli
redditi e sui modesti risparmi ma sul futuro:
la riduzione degli investimenti pubblici nei settori chiave della
scuola, della ricerca, della cultura, delle infrastrutture e della salute
pubblica sono ipoteche pesantissime per il futuro, ricordano da vicino la
strategia del contadino scimunito che per risparmiare e pagare i debiti
acquistava ogni anno meno sementi e coltivava sempre meno terreno, fino a che
perse il podere.
Che la maggior parte della liquidità in
circolazione o scritta sui conti bancari dei risparmiatori sia denaro
sostanzialmente fasullo è evidente: ad esso non corrisponde infatti che una
frazione minima di beni e servizi realmente esistenti. Ecco perché a ritmo
regolare le borse crollano, i risparmiatori che in titoli avevano investito
invece di accontentarsi di un lento esproprio dovuto alla lenta ma
inarrestabile perdita di valore dei propri patrimoni vedono decimare o
dimezzare se basta i propri depositi. Contrariamente ai titoloni dei quotidiani
non è tuttavia vero che i crolli borsistici “brucino miliardi” in pochi giorni come regolarmente si legge.
In finanza vale la stessa legge nota ai
chimici: “nulla si crea e nulla si distrugge”. Le perdite di moltitudini di
illusi sono semplicemente il guadagno dei pochi che dirigono il gioco, ciò che
in realtà avviene è unicamente un trasferimento di valori da alcune tasche ad altre.
Se ciò rimanesse un fatto privato fra
investitori senza effetti per l’economia reale non sarebbe grave, peggio per
chi ha perduto, buon per chi ha guadagnato. Purtroppo però l’effetto sull’intera
economia è deleterio, ogni crollo borsistico è una frenata che blocca lo
sviluppo economico e richiede tempo e fatica (cioè sacrifici e rinunce ai
lavoratori ) per rimettere in moto il meccanismo dell’economia. Per tentare di spiegare e magari prevedere
le ricorrenti crisi del Capitalismo
sono state costruite svariatissime teorie, ma appunto per questo nessuna è
stata in grado di dare pienamente ragione del fenomeno né tanto meno a fornire
non diciamo rimedi preventivi, ma nemmeno cure post trauma. Unico fatto certo:
le crisi sono un elemento costitutivo del sistema capitalistico, un dato di
fatto che nessuno ormai si azzarda a contestare.
Ma questo è anche tutto. La crisi del
1929 venne affrontata negli USA con
misure di tipo “Keynesiano”, cioè con investimenti pubblici massicci e con la
regolamentazione del settore finanziario. Il suo superamento definitivo avvenne però con la produzione bellica,
cosí come in Europa i “miracoli” economici del dopoguerra furono possibili
poiché si doveva ricostruire dopo le immani rovine della guerra. Un
insegnamento da quella crisi è dunque difficile da trarre poiché essa venne
superata esattamente creando i presupposti per … le crisi successive.
Infatti la crescita economica con cui
venne superata la crisi del 1929 generò i monopoli giganteschi che da allora condizionano governi e decidono il
destino di intere nazioni per gli interessi di pochi attori che gestiscono
queste immense fortune.
Come giustamente ricordava il
socialista francese Jaures, assassinato da un fascista poiché contrario alla
guerra, “il capitalismo porta in sè la guerra come la nube porta la tempesta”. Non soltanto infatti questo sistema per
sopravvivere deve creare la miseria delle moltitudini ma deve anche aizzarle in
continue guerre fra poveri, poiché da esse il Capitale estrae i maggiori
profitti.
Valga un
esempio (da: http://www.tpi.it/mondo/iraq/il-prezzo-della-guerra): Nel decennio dal 2003 al 2013 la guerra in Irak (insieme al rimborso dei
debiti ed agli interessi sui prestiti per finanziarla) è costata agli Stati
Uniti 6000 miliardi di dollari. Insieme alle altre gigantesche menzogne con le
quali venne fatta accettare al mondo intero, anche i preventivi di spesa erano
enormemente falsati: 60 miliardi, un centesimo dei costi reali.
Ovviamente
se per lo Stato ovvero per i contribuenti i seimila miliardi sono stati costi, per chi li ha incassati sono stati profitti.
Se si verificano gli andamenti dei titoli borsistici dei dieci maggiori
produttori mondiali di armamenti (sei di essi statunitensi), cfr.. https://www.tharawat-magazine.com/trending/2174-top-10-largest-weapons-manufacturing-companies-in-the-world.html?showall=1
si vede
che nonostante le oscillazioni temporanee, tutti questi titoli sono in fase di
rapida crescita negli ultimi cinque anni, ed in particolare dal 2011, cioè
dall’inizio della guerriglia contro il potere statale in Siria ed il
rovesciamento del governo di Gaddafi in Libia, l’una sostenuta e finanziata
dagli USA e da altri suoi fedeli collaboratori e l’altra sponsorizzata
dall’allora Presidente francese e messa in opera dalla NATO.
Evidentemente
chi investe in questi titoli sembra possedere due caratteristiche: non avere
problemi di coscienza ed avere invece ha un buon fiuto per gli affari: sul
primo aspetto non ci sono dubbi, il secondo è superfluo o scontato: se la
prostituzione è considerata la più antica professione, i profitti sulla guerra
sono sicuramente il più antico e sicuro metodo per costruire fortune.
Dunque
tornando al titolo: nel significato proprio dal termine greco “dilemma”, cioè
scelta fra premesse che ambedue conducono alla stessa conclusione negativa:
1)
Se si continua con
l’austerità per salvare l’euro si mette fine all’UE
2)
Se si abbandona l’austerità
si perde l’euro: ma si salva l’UE e con essa si resta perpetuamente vassalli
degli USA con tanto di trattato commerciale “TTIP” e soprattutto esecutori del
diktat NATO, ovvero dell’espansione militare USA.
Una
speranza ci sarebbe, se invece di un dilemma avessimo un trilemma, ovvero una
sintesi delle due alternative: abbandonare sia l’austerità che l’euro, come
premessa per liberare l’Europa sia dalla velenosa moneta unica che dai sogni di onnipotenza dei burocrati di
Bruxelles, servi delle lobbies industrial-finanziarie mondiali, cioè una fine sia dell’euro che
dell’UE e con essa della NATO: un sogno impossibile, certo, ma dunque non resta
che l’incubo di un “deja vu” che
potrebbe ricordare le vicende del secolo scorso.
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