Il cancro dell’ euro e come liberarsene.
Che l’euro sia irrecuperabile come moneta unica dovrebbe essere ormai
convinzione condivisa per lo meno fra persone ragionevoli che guardano ai fatti
e non si affidano a speranze illusorie. Errare è umano ma perseverare
nell’errore più che diabolico è semplicemente sciocco. Soprattutto quando
nessun elemento conforta l’errore commesso e tutti i fatti dimostrano che la
decisione era insensata fin dall’ origine e per di più la sua pericolosità ed
impraticabilità era ben nota anche a coloro che della folle decisione furono (e
continuano ad essere) responsabili.
Sull’argomento esiste ormai una vasta letteratura, dettagliata e
documentata e stanno per uscire nuove opere che adducono ulteriori motivi a
favore di un celere abbandono dell’euro.
Dunque è giunto il momento di cominciare a pensare almeno alle modalità
tecniche di uscita
da questa moneta fallimentare. Altresí chiaro è che oltre alle misure
tecniche dovranno essere intraprese specifiche misure di politica economica e monetaria finalizzate a ridurre subito ed eliminare poi gradualmente i danni inferti dall’euro
alle economie di gran parte dei Paesi europei.
Un paragone con un altro noto male può essere indicativo del cammino da
intraprendere.
Prima di procedere all’operazione chirurgica in genere si cerca di limitare
i danni causati dalle cellule cancerogene con trattamenti di chemo- o
radioterapia, per poi passare all’eliminazione chirurgica quando il male è
stato ridimensionato e circoscritto.
Per l’euro si dovrà procedere allo stesso modo, predisponendo gli opportuni
passi in modo da ridurre i danni e l’impatto di una sua eliminazione pura e
semplice. Poiché un’uscita concordata di tutti i Paesi è illusoria, occorrerà che i Paesi che per primi
riacquistano la propria sovranità monetaria prendano tutte le necessarie misure
preventive per ridurre disagi ai cittadini e danni economici.
Uno dei problemi maggiori è la difesa dagli attacchi speculativi, fenomeno
non completamente evitabile ma grandemente riducibile con opportune misure come
ad es. il blocco temporaneo del movimento internazionale dei capitali.
Anche le obbligazioni del debito pubblico dovranno essere trasferite dall’ euro nella moneta dello
Stato che abbandona l'euro, quindi sarà opportuno riacquistare i titoli in modo che la maggior parte
del debito sia interno.
La chiusura delle banche per lo stretto periodo necessario al cambio del
contante nella nuova (cioè vecchia) valuta nazionale non sarà un problema (ad
es. il divorzio fra la Rep. Ceca e quella Slovacca nel 1993) venne risolto
facilmente in un fine settimana.
Diverso è il caso della corsa dei risparmiatori a prelevare euro per timore
della svalutazione della nuova valuta nazionale. Una svalutazione (per alcuni
Paesi, che se ad es. ad uscire per prima fosse la Germania si parlerebbe
piuttosto di rivalutazione!) è inevitabile e in misura adeguata anche
provvidenziale. Un 10 % sarebbe indolore, un 20 % iniziale che poi si
ridimensionasse intorno al 10 % nel
giro di uno o due anni sarebbe altrettanto accettabile.
Immediatamente i tassi di interesse sui depositi aumenterebbero attirando
sia i capitali stranieri che il
risparmio interno. La fine dell’euro sarebbe infine ancor più facile se si giungesse almeno ad un fra i principali Paesi dell’area Euro ad un accordo sul “passo
indietro”, cioè sulla fissazione di un corridoio di oscillazione delle monete
nazionali rispetto ad un euro ritornato ECU, cioè moneta virtuale di riferimento ma senza corso legale. Ma anche qualora tale accordo
esplicito non sia possibile, si
giungerà comunque ad un risultato analogo poiché le banche centrali dei
Paesi usciti dall’area euro potranno fissare un cambio di riferimento con una
o più delle altre monete nazionali (o con l’euro dei Paesi rimasti prigionieri
in quell’area), sostenendo con acquisti o svalutando con vendite la propria
moneta nazionale, cosí come ha fatto ad es. la Svizzera per alcuni anni.
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