Montag, 29. Februar 2016

Il cancro dell’ euro e come liberarsene. 


Che l’euro sia irrecuperabile come moneta unica dovrebbe essere ormai convinzione condivisa per lo meno fra persone ragionevoli che guardano ai fatti e non si affidano a speranze illusorie. Errare è umano ma perseverare nell’errore più che diabolico è semplicemente sciocco. Soprattutto quando nessun elemento conforta l’errore commesso e tutti i fatti dimostrano che la decisione era insensata fin dall’ origine e per di più la sua pericolosità ed impraticabilità era ben nota anche a coloro che della folle decisione furono (e continuano ad essere) responsabili.
Sull’argomento esiste ormai una vasta letteratura, dettagliata e documentata e stanno per uscire nuove opere che adducono ulteriori motivi a favore di un celere abbandono dell’euro.

Dunque è giunto il momento di cominciare a pensare almeno alle modalità tecniche di uscita
da questa moneta fallimentare. Altresí chiaro è che oltre alle misure tecniche dovranno essere intraprese specifiche misure di politica economica e monetaria finalizzate a ridurre subito ed eliminare poi gradualmente i danni inferti dall’euro alle economie di gran parte dei Paesi europei.   
Un paragone con un altro noto male può essere indicativo del cammino da intraprendere.
Prima di procedere all’operazione chirurgica in genere si cerca di limitare i danni causati dalle cellule cancerogene con trattamenti di chemo- o radioterapia, per poi passare all’eliminazione chirurgica quando il male è stato ridimensionato e circoscritto.
Per l’euro si dovrà procedere allo stesso modo, predisponendo gli opportuni passi in modo da ridurre i danni e l’impatto di una sua eliminazione pura e semplice. Poiché un’uscita concordata di tutti i Paesi è illusoria, occorrerà che i Paesi che per primi riacquistano la propria sovranità monetaria prendano tutte le necessarie misure preventive per ridurre disagi ai cittadini e danni economici. 
Uno dei problemi maggiori è la difesa dagli attacchi speculativi, fenomeno non completamente evitabile ma grandemente riducibile con opportune misure come ad es. il  blocco temporaneo del  movimento internazionale dei capitali.
Anche le obbligazioni del debito pubblico dovranno essere  trasferite dall’ euro nella moneta dello Stato che abbandona l'euro, quindi sarà opportuno riacquistare i titoli in modo che la maggior parte del debito sia interno.
La chiusura delle banche per lo stretto periodo necessario al cambio del contante nella nuova (cioè vecchia) valuta nazionale non sarà un problema (ad es. il divorzio fra la Rep. Ceca e quella Slovacca nel 1993) venne risolto facilmente in un fine settimana.
Diverso è il caso della corsa dei risparmiatori a prelevare euro per timore della svalutazione della nuova valuta nazionale. Una svalutazione (per alcuni Paesi, che se ad es. ad uscire per prima fosse la Germania si parlerebbe piuttosto di rivalutazione!) è inevitabile e in misura adeguata anche provvidenziale. Un 10 % sarebbe indolore, un 20 % iniziale che poi si ridimensionasse  intorno al 10 % nel giro di uno o due anni sarebbe altrettanto accettabile.
Immediatamente i tassi di interesse sui depositi aumenterebbero attirando sia i capitali stranieri  che il risparmio interno. La fine dell’euro sarebbe infine ancor più facile se si giungesse almeno ad un  fra i principali Paesi dell’area Euro ad un accordo sul “passo indietro”, cioè sulla fissazione di un corridoio di oscillazione delle monete nazionali rispetto ad un euro ritornato ECU, cioè moneta virtuale di riferimento ma senza corso legale. Ma anche qualora tale accordo esplicito  non sia possibile, si giungerà comunque ad un risultato analogo poiché le banche centrali dei Paesi usciti dall’area euro potranno fissare un cambio di riferimento con una o più delle altre monete nazionali (o con l’euro dei Paesi rimasti prigionieri in quell’area), sostenendo con acquisti o svalutando con vendite la propria moneta nazionale, cosí come ha fatto ad es. la Svizzera per alcuni anni. 

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