Se si volesse veramente salvare l’Euro (come FUTURA moneta unica). Il fallimento dell'illusione eurofila di Syriza.
Ad ogni riapparire della “crisi dell’euro” (che è già errore così definire
poiché non è l’euro ad essere in crisi ma l’economia europea, l’euro al più ne
è una delle cause e beninteso quella principale) ecco i sedicenti soloni che
ignari delle anche più elementari nozioni di economia seminano paure di
inflazione in caso di abbandono della moneta unica. È gente che non conosce
evidentemente nemmeno la differenza fra “svalutazione” (che è cambiamento di
corso fra valute diverse) ed “inflazione” che è invece il rapporto fra potere
d’acquisto e prezzi all’interno di una moneta singola. Senza contare che il
pericolo attuale in Europa è uno ben diverso, e cioè la “deflazione”, contro la
quale il governatore della BCE Draghi sta cercando di combattere con le ultime
misure economiche rimastegli a disposizione, ma con altrettanto poche possibilità di successo.
Si ha spesso la sensazione che molti non
soltanto non abbiano capito come funziona il capitalismo, ma all’interno di
esso nemmeno abbiano la più pallida idea di come funziona la moneta. Su di essa
è vero, circolano le teorie più stravaganti, ma recentemente qualcuno ha
addirittura affermato, mal interpretando completamente il problema del cambio
fra euro e franco svizzero che “moneta grande
schiaccia moneta piccola”. E questa sinceramente supera di gran lunga
tutte le corbellerie finora sentite. Probabilmente questa enormità nasce dalla
confusione con un detto popolare confermato dalla teoria, che invece
storicamente è stato sempre vero: “la moneta cattiva scaccia quella buona”
. Infatti le monete coniate in metalli
nobili, i regnanti le facevano o limare o rifondere con un tenore più basso di
oro o argento si trovavano in difficoltà economiche: ma non appena la gente se
ne accorgeva, tesaurizzava quelle “buone” e restavano in circolazione soltanto
quelle “cattive”, cioè di bassa lega.
Il concetto si può traslare anche per le
monete “fiat money”, cioè cartacee, il cui valore è attribuito non da un
corrispettivo fisso con metalli preziosi
(gold standard) ma semplicemente dalla fiducia che in esse ripone chi le
utilizza come mezzi di pagamento. Queste banconote si apprezzano o deprezzano
in diretta proporzione con la fiducia
nello Stato che le stampa. Quando la moneta in circolazione supera di
gran lunga il corrispettivo valore dei beni e servizi che con essa si possono
acquistare, perché la zecca dello Stato stampa moneta eccedente per finanziare
i buchi di bilancio, ecco l’inflazione. E superato un certo limite
(iperinflazione) avviene un qualcosa di simile al detto iniziale, cioè la
moneta nazionale viene sostituita da un’altra di valore stabile . Gli esempi
più noti sono il corso parallelo del dollaro in Brasile o Argentina, ma in
fondo anche la corsa al franco svizzero come bene rifugio segue la medesima
logica, limitata per ora ai grandi capitali che fuggono dall’euro poiché lo
vedono sottoposto a svalutazione forzata da parte della Banca Centrale Europea
(operazione nota come Quantitative Easing, o popolarmente come ”il
bazooka di Draghi”) .
Il
riferimento al problema del Franco Svizzero è per alcuni la premessa per
dimostrare che ai Paesi europei e segnatamente per alla Grecia come all’Italia,
è meglio tenere la “grande” moneta unica
piuttosto che tornare alle monete nazionali, che rischierebbero di
venire “schiacciate” dall’euro come appunto sarebbe il caso del Franco
svizzero. Che dal presunto “schiacciamento” si è trovato però accresciuto di
1/5 del valore da un giorno all’altro, quando la Banca Centrale Svizzera ha
deciso di non continuare a tenerne basso il corso acquistando euro. Per la
dracma e per la lira e le altre monete dei PIIGS, con una piroetta illogica
inusitata, lo schiacciamento avrebbe invece, secondo la strampalata teoria
citata, l’effetto contrario, cioè la svalutazione (curiosamente da quasi tutti
i sostenitori di questa enormità valutato intorno al 20 %, senza prova alcuna
delle basi su cui questa gratuita previsione viene calcolata).
Le cause della
svalutazione o rivalutazione di una moneta sono in realtà soprattutto esterne,
dipendono cioè dalla relazione con altre monete. Verissimo che il franco
svizzero si rivaluta al di là di quanto sarebbe corretto secondo meri criteri
economici (produttività, costo lavoro, capacità esportazioni, ecc.) ed è un problema per la Svizzera poiché
rende più difficili le esportazioni, anche se chi conosce la situazione di
questo Paese sa che il problema non è tragico e già sono in atto le misure
per riportare il franco al giusto livello.
Ínfatti la causa della rivalutazione è la perdita di fiducia nelle altre monete
e segnatamente dell’euro da parte dei grandi investitoti istituzionali, che
generalmente non sbagliano anche perché hanno il peso per manovrare i mercati
secondo i propri interessi. Entro certi limiti tuttavia: la Svizzera si è
preparata da tempo ad affrontare ed a risolvere questo problema, che si è
presentato diverse altre volte nel passato, dunque si trova ben lontano da una
situazione di crisi, coi tassi negativi il problema è facilmente risolvibile.
La crisi economica e presto sociale invece, sempre più grave e a rischio di divenire insanabile, da ormai
sette anni c’è … ma è quella della moneta “grossa”, l’euro appunto.
Lungi dallo schiacciare le monete “piccole” (ad es. le corone sia
svedese che danese che ceca non hanno problema alcuno con l’euro) , l’euro schiaccia le economie dei Paesi che l’hanno
malauguratamente adottato.
Ma
non schiaccia tutte le economie: una infatti ne approfitta ampiamente, quella
tedesca.
Se
la Germania non avesse imposto agli altri Paesi l’euro secondo le proprie
regole (che poi per prima ha infranto) ora si troverebbe esattamente nella
situazione della Svizzera, con un marco rivalutato alla pari col franco.
Ciò
che nessuno dei difensori dell’euro a tutti i costi e con le più strampalate ed
illogiche teorie non spiegano è infatti perché i guai e la recessione nei Paesi
mediterranei, dal Portogallo alla Grecia passando per Spagna ed Italia, guarda
caso sono iniziati proprio dopo (e non
prima) l’introduzione dell’euro. E che i Paesi europei che l’euro non l’hanno
voluto (fra gli altri: Norvegia, Svezia, Danimarca, Inghilterra, Rep. Ceca,
Polonia) non hanno subito la crisi, non sono indebitati oltre misura e non
hanno i livelli mostruosi di disoccupazione dei Paesi mediterranei “post
euro”. La risposta è semplice: hanno
mantenuto la sovranità monetaria e possono agire modificando (rivalutare o
svalutare) la propria moneta nazionale in relazione all’andamento della propria
economia, quindi restano concorrenziali sul mercato internazionale.
C’è
comunque del metodo nella disinformazione sistematica con cui i sedicenti
economisti da strapazzo dipingono a tinte fosche lo sfacelo immaginario
dell’uscita dall’euro per nascondere il reale disastro causati dalla permanenza
nell’area euro.
La dimostrazione finale dell’insostenibilitá dell’euro.
Il tentativo velleitario del nuovo governo greco di finirla con l’austerità
pur mantenendo l’euro ha mostrato anche ai ciechi e senza ombra di dubbio la
definitiva insostenibilità della moneta unica europea nella sua attuale forma.
Se conseguentemente alle premesse il governo greco deciderà di abbandonare
la zona euro o di continuare nel vicolo senza uscite dell’austerità è questione aperta e non senza rischi: il
crollo di Syriza condurrebbe probabilmente allo sfacelo della democrazia, coi
fascisti di “Alba Dorata” pronti a cogliere l’occasione e forse i Colonnelli
“nuova generazione” pronti a prendere il potere secondo l’innovativa
metodologia dei colpi di stato, cioè con la
“maidanizzazione” (cioè un golpe simile a quello di Kiev deviando e
strumentalizzando la protesta popolare anticorruzione per poter installare un
governo Quisling obbediente ai propri innominabili fini): la CIA non sta certo
a guardare, soprattutto dopo la ferma posizione del nuovo governo greco sulle
sanzioni antirusse. Dunque nell’interesse della Grecia ma della pace e della
democrazia in Europa è urgente che non si apra un nuovo fronte in Grecia.
Mantenere l’euro come moneta europea in vista di una vera moneta unica con
effetti positivi in un lontano (probabilmente lontanissimo) futuro non sarebbe
difficile, basterebbe un passo indietro: ritornare all’ECU. Facilissimo da fare
aggiungendo alla dicitura “euro” il nome della moneta nazionale preesistente,
con tassi di cambio concordati a livello europeo (laddove in mancanza di
accordo varrebbe la legge del mercato, ma imbrigliata: la BCE, banca centrale
europea, potrebbe intervenire in alcuni casi a sostenere le monete nazionali in
pericolo scoraggiando la speculazione. In fondo quanto è puntualmente avvenuto
con l’annuncio di Mario Draghi (BCE) riassunto dalla frase “whatever it takes”,
cioè l’acquisto illimitato di obbligazioni degli Stati a rischio fermandone la
crescita degli interessi che aveva come controparte la diminuzione di quelli
dei Paesi ritenuti stabili. Per confondere le idee è stato usato ed abusato il
termine “spread” (ma ho constatato che salvo gli esperti, generalmente nessuno
sa di che cosa veramente si tratta). La confusione di idee (come ad esempi fra
chi spaccia decosa non è casuale: non far capire a tutti che l’aumento degli
interessi delle obbligazioni ad esempio dell’Italia era esattamente compensato
dalla diminuzione di quelli della Germania
(che infatti addirittura faceva pagare interessi negativi agli
acquirenti) invece di riceveva differenza misurata in “rispetto a quelli
stabili (lo “spread”) in questi nei Paesi a rischio ma non ha risolto in alcun
modo il problema di fondo, ch eè andato invece aggravandosi.
Gli euro in circolazione verrebbero messi da un giorno all’altro fuori
corso e sostituiti 1:1 da Eurodrachme, Eurolire, Europesetas ecc. e dunque
anche dagli Euromarchi in Germania: la cui banca nazionale per controllarne la
rivalutazione dovrebbe acquistare appunto le Eurovalute nazionali dei PIIGS.
Rispetto al ritorno puro e semplice alle monete nazionali, con i rischi di
speculazione incontrollata e spostamenti di capitale pericolosissimi, questa
modalità consentirebbe di tenere a bada in buona misura la speculazione.
Sarebbe un processo più trasparente che non il QE (Quantitav Easing) cioé
l’aumento della massa monetaria in circolazione a fini inflazionistici con
l’acquisto delle obbligazioni statali dei Paesi a rischio di fallimento, un
rischio che però colpisce unicamente i contribuenti.
La fluttuazione così controllata delle singole Eurovalute nazionali
potrebbe riaprire il processo di crescita e impedirebbe l’indebitamento che ha
ridotto alcuni Stati completamente alla mercé dei creditori usurai. Last but
not least, il debito statale rimarrebbe sostanzialmente all’ interno dei
singoli Paesi, i cui cittadini si dovrebbero poi impegnare a contenere la
corruzione e gli sperperi eleggendo politici più competenti e meno ladri.
Invece della crescente animosità fra
nazioni europee la lotta passerebbe all’interno dei singoli Stati fra i
cittadini spremuti e quelli privilegiati, fra pensionati al margine della
sussistenza e titolari di “superpensioni d’oro”, fra sfruttati e profittatori:
sarebbe un chiarimento dei fronti.
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