Noterelle linguistiche: dialetti e varianti
(Dalla corrispondenza con l'amico Armando che mi induce a riflettere su cose che da molto trascuro, e che riporto qui perché ne sto nuovamente discutendo con altri)
La contrapposizione lingua-dialetto era stata ben definita nella famosa "lettera ad una professoressa" laddove si diceva : i ricchi si appropriano della lingua, la trasformano a loro uso e consumo irrigidendola in modo convenzionale per poter sfottere quelli che non parlano come loro" (cito a memoria, ma il senso è questo).
L'italiano é una lingua artificiale o meglio letteraria che è divenuta lingua nazionale per motivi storici (o meglio vicissitudini dinastiche e belliche).
L'unico altro esempio di lingua creata per soddisfare (anzi giustificare) le esigenze di una nazione è l'ebraico, modernizzato e poi insegnato come lingua straniera a tutti gli immigrati in Israele per
i noti motivi.
L'uso de jure di un dialetto assunto come lingua nazionale è stato realizzato in Italia attraverso la scuola, e in primo tempo come lingua straniera. Ad esempio mia madre aveva un vocabolario piemontese -italiano,
e nessuno anche nella mia generazione, al di fuori della scuola mai parlava l'italiano (anche in classe, fra di noi, quando eravamo certi che maestri e professori non ci ascoltassero, si usava il piemontese).
E nelle vallate il patuà occitano e in alcune zone anche il francese. In parte era una reazione popolare al fascismo che aveva vietato l'uso di altre lingue e dialetti ed imposto addirittura il "voi" vietando il "lei". Ed infatti nel dopoguerra erano di moda i teatri dialettali, poi spariti ma che negli ultimi anni riprendono vigore, insieme alle canzoni nei vari dialetti.
In Italia la classe dominante era originariamente dialettofona, Cavour e Vittorio Emanuele II conversavano in francese ma litigavano in piemontese, non risulta che abbiano mai usato l'italiano nei loro rapporti. L'Italia vanbta un grande patrimonio di letteratura in tutti i dialetti (per me il Pentamerone di Basile non ha nulla da invidiare al Decamerone del Boccaccio). Le poesie in milanese di Carlo Porta, del Belli, le canzoni napoletane ed i pezzi teatrali di De Filippo, liguri di Govi e di Fabrizio de André o di Butitta tanto per citare qua e là, sono ben note e diffuse. Il veneto di Grado, di Biagio Marin non ha nulla da invidiare in profonditá lirica ai poeti in lingua italiana. Come le poesie di Pasolini nel friulano di Casarsa.
E' innegabile che la lingua codificata come strumento di comunicazione a livello nazionale è un codice privilegiato. Ma unicamente di diritto, linguisticamente è un codice rigido e povero, poiché rifiuta a priori le innovazioni. E' un pochino come l'inglese nei rapporti internazionali: lo parlano tutti, i più da cani, ma anche chi lo parla e scrive correttamente, quando deve utilizzarlo a fini letterari, si orienta alla variante in uso dove vive, che differisce sempre più o meno dallo standard, ed è quello che dà sapore alle opere letterarie. Tradurre in altre lingue ad es. Cesare Pavese, che usava un italiano arricchito e marcato dai tratti dialettali delle Langhe, o Giorgio Bassani o Bacchelli che si rifanno alle varianti locali - per non parlare di Camilleri - è molto difficile. Come lo spagnolo colombiano di Garcia Marques, per leggerlo è necessario un vocabolario dei termini che solo lui usa, lo hanno fatto per i "Cento anni di solitudine", con le varianti colombiane dello spagnolo sudamericano.
La traduzione tedesca del "buon soldato Svejk" di Hasek scritta nel gustoso dialetto ceco di Praga è stata fatta ricorrendo a colorazione bavarese per dare l'idea di linguaggio popolare.
Dunque più che lingua e dialetto io distinguerei fra codici standard di comunicazione (che sono sempre "codici ristretti" !) e varianti di comunicazione locale (della città, della regione o dello Stato) che sono lingue vive ed in continua crescita e soggette a variazioni (addirittura a livello fonetico, come ha rilevato una nota ricerca di Labov a New York).
Pasolini in ragazzi di vita ha dato un bell'esempio di contaminazione italiano formale e dialetto romanesco.
Io amo le contaminazioni linguistiche e lo scambio inatteso di registro (il popolano che parla forbito e il funzionario che usa il dialetto o il gergo di settore).
Ad esempio la novella "La Belle Imperia" come tutta la serie "Les contes drolatiques" è stata scritta da Balzac in un finto francese antico che ai suoi tempi aveva avuto molto successo (oggi si legge piuttosto la traduzione in francese moderno, molto meno gustosa a mio avviso).
Un altro aspetto della scelta linguistica nella comunicazione è quella delle lingue utilizzate soltanto dalle donne fra di loro, o riservate a strati sociali particolari. Gli etnolinguisti hanno studiato bene questo fenomeno, io non l'ho mai approfondito, ma se avrò occasione di andare in India sarà la prima cosa che cercherò di fare. Dopo na vita in Germania dove a scuola la lingua materna dei bambini stranieri è vista come "Überförderung", essere per qualche tempo in un Paese dove ogni bambino cresce come minimo trilingue, senza contare il dialetto, sarebbe sicuramente una bella soddisfazione.
Insomma, non posso rispondere al tuo quesito se non cercando di relativizzare il rapporto lingua-dialetto.
O per essere sincero, cercando di capovolgerne i termini.
Infatti io sono fermamente convinto che la vera lingua sia quella che ciascuno di noi usa per una cerchia ristretta di rapporti (come il "Lessico familiare" di Natalia Ginzburg).
Nel rapporto amoroso ad esempio si usano parole e frasi che o per la frequenza o per l'estensione (o riduzione) di significato si differenziano dalla lingua standard: diviene un lessico privato, una forma di difesa dell'intimitá ed unicità del rapporto.
Durante il servizio militare con un gruppo di altri allievi ufficiali avevamo creato una lingua particolare: un italiano in cui si usava soltanto la vocale "e". Credo che la cosa fosse nata per sfottere un odiato colonnello pugliese, ma poi siccome era divertente e in fondo la comunicazione nell'ambiente non richiedeva un lessico complesso, ci si capiva senza problemi anche con la lingua di una sola vocale.
A parte queste aberrazioni, il mio sogno in relazione alle varianti linguistiche sarebbe di poter andare in Cina a studiare il mandarino (coi suoi quattro toni) e poi viaggiare nelle varie regioni fino a studiare il cantonese con i nove toni (e naturalmente con la curiosità di scoprire varianti intermedie di 5,6, magari 8 toni e saperli distinguere). Probabilmente non ci arriverò mai a realizzare questo progetto, ma almeno il mandarino voglio riprenderlo seriamente andando qualche mese a Pechino. Chissá forse la prossima riflessione linguistica la scriverò di là.(...)
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