La politica economica della Comunità Europea ed il “principio di Pareto”
Dall’antichità
greca in poi lo studio dell’economia è divenuto tema centrale del pensiero
politico e filosofico. Negli ultimi due secoli strumenti matematici e
statistici sempre più raffinati hanno cercato di spiegare il funzionamento
dell’economia, innumerevoli modelli, teorie, leggi e metodi di analisi hanno cercato finora invano di dare risposta a
quello che è o dovrebbe essere il problema fondamentale: come deve svolgersi il
processo produttivo e distributivo per garantire il maggior benessere a tutti evitando le crisi.
Un settore
specifico della ricerca si è dedicato allo studio delle crisi periodiche, e in
questi giorni ricorre il 130 anniversario della nascita di J. A. Schumpeter
(l’anno della scomparsa di Marx), che è stato uno dei maggiori esponenti di
questo indirizzo di ricerca, i cui più recenti e promettenti sviluppi si
ritrovano negli studi di Hyman Minsky.
Almeno due
italiani (oltre all’inventore della partita doppia, Luca Pacioli, conosciuto
anche dai ragionieri) sono noti in tutto il mondo agli studenti di
economia: Piero Sraffa e Vilfrido Pareto.
La teoria di Sraffa è ancora attualissima ma merita una riflessione
specifica che rimando ad un prossimo intervento.
Vorrei qui invece
molto banalmente trattare un aspetto sul quale nelle discussioni contemporanee
si sorvola dandolo per scontato ma che
a mio avviso è invece fondamentale per capire il perché le crisi economiche non
possono essere evitate (essendo inerenti ai sistemi, tutti compresi e nessuno
escluso), ma secondo le strategie con cui vengono affrontate si può in certa
misura prevedere lo svolgimento delle crisi successive e la durata del periodo
intercorrente fra il superamento della crisi in atto e l’insorgere della
prossima.
Il criterio
fondamentale da seguire è lo studio della redistribuzione del reddito al
termine della crisi ed il riposizionamento relativo degli attori del processo
economico (in quanto potere di decisione su di esso): imprese, sindacati,
lavoratori.
Un punto spesso
dimenticato è che non si può parlare di economia senza tener conto dei
condizionamenti politici cioè degli interventi statali. Anche i fautori più
estremi del liberismo riconoscono funzioni essenziali all’intervento statale, a
cominciare dalla politica monetaria.
E di converso
anche i più estremi fautori dell’intervento statale pianificatore tipico delle
economie cosiddette comuniste ammettono i limiti dell’intervento (che comunque
per quanto dissimulati sono sempre ben evidenti perché di regola i piani si
rivelano irrealizzabili).
Su ambedue i tipi
di atteggiamento – intervento massimo o minimo dello Stato - ha qualcosa da
dire la teoria nota sotto il nome di “principio di Pareto” (in dettaglio frutto
di un complesso calcolo matematico originato da osservazioni empiriche),
volgarizzato nella formula 80/20, cioè l’80 % dei fenomeni sarebbero dovuti al
20 % della cause.
Vilfrido Pareto,
meglio noto come sociologo ma con notevoli contributi alla teoria economica,
aveva rilevato con osservazioni statistiche sulla distribuzione della proprietà
in Italia, Germani e Svizzera che con sorprendente costanza, ovunque circa il
20 % della popolazione possedeva l’80 %
delle risorse. Empiricamente il
principio ha un’ utilizzazione pratica poiché serve a concentrare gli sforzi di
indagine sui fattori decisivi, e può servire in economia se congiunta al
principio noto come “Mastello di Dobenek”
(cioè “legge del minimo”: è la
quantità minima di un elemento indispensabile che condiziona qualunque processo
produttivo, quindi è inutile aumentare gli altri elementi se non si accresce
quello minimo ma determinante).
Insieme alle
altre tre leggi: delle “proporzioni definite”, della “produttività decrescente”
e di quella “marginale” anche questo è uno dei
principi mai ancora smentiti in economia.
Applicati al caso
delle crisi in atto, il principio di Pareto e la legge del minimo avrebbero
suggerito immediatamente le migliori vie da seguire per il loro superamento, che sono state invece
tutte scrupolosamente evitate. E altrettanto scrupolosamente gli interventi
politici hanno privilegiato esattamente le scelte più errate.
Ritorniamo un
attimo all’origine di quella che viene spacciata per crisi del debito pubblico
(o sovrano): si è fatto credere che la
sua origine fosse appunto l’impossibilità per questi Stati di ottenere altri
prestiti poiché i creditori temevano la perdita dei capitali prestati.
Questo timore a
sua volta era conseguenza del livello del debito, che sarebbe stato superiore
agli introiti fiscali presumibili. In altre parole questi Stati avrebbero avuto
un bilancio pubblico deficitario. Di qui la prima falsificazione dei fatti,
volgarizzata nella formula “hanno vissuto al di sopra delle proprie
possibilità” fino alle più becere e razziste affermazioni tipo “i Greci vivono
a spese dei risparmiatori tedeschi”.
Orbene, gli
introiti fiscali sono notoriamente in funzione dell’andamento del reddito,
essendo prelevati appunto da salari, stipendi e profitti delle imprese. Il
prelievo può essere più o meno efficiente ed equo, ma è soggetto a limiti ben definiti e ogni scelta
in questo settore ha immediate ripercussioni non solo sull’andamento
dell’economia ma sul gettito reale stesso (la nota curva di Laffer segnala che
aumentando l’aliquota di prelievo oltre un certo punto il gettito fiscale lungi
dal crescere diminuisce).
Quindi,
applicando il principio di Pareto, fra il 20 % di cause figurava, insieme alle
spese eccessive (chiamiamoli pure sprechi),
anche e soprattutto l’insufficiente prelievo fiscale. Ma
immediatamente, riapplicando lo stesso principio a questo fatto - visto ora
come conseguenza, fra il 20 % delle
cause era facilmente individuabile la diminuita capacità contributiva,
cioè il rallentamento dell’economia immediatamente riscontrabile nella
crescente disoccupazione.
Questo
rallentamento dell’economia aveva cause diverse e comunque non legate
direttamente all’indebitamento eccessivo degli Stati in questione, ma di origine globale (crisi
finanziaria originata dalla bolla immobiliare USA, ecc.).
Le strategie da
seguire avrebbero dovuto procedere esattamente in modo inverso rispetto alle
cause: rilancio dell’occupazione,
crescita economica, aumento della capacità contributiva e contemporaneamente
riduzione delle spese, sempre tenendo presente che tale riduzione non finisse
per avere l’effetto indesiderato e fatale di
bloccare la crescita economica.
Sappiamo che è
stato fatto esattamente l’opposto: e che la scelta idiota dell’austerità ad ogni costo si
è rivelata cura letale finendo per mandare in coma il paziente invece di
guarirlo. Ciò non ultimo per il fatto che la cura di “austerità” è stata
riservata alle categorie di popolazione
meno abbienti e quindi evidentemente
non poteva dare che scarsi risultati, ottenibili invece se si fossero toccate
le grandi rendite ed i profitti del
mondo finanziario,che è quello che dalla crisi più ha guadagnato e continua ad
approfittare.
La disoccupazione
soprattutto giovanile in Europa sta distruggendo insieme all’economia anche la
democrazia, e senza un’inversione di rotta finirà per affossare il processo di
unificazione europea così come era stato concepito dai fondatori della Comunità Europea nel Trattato di
Roma, col quale si erano solennemente:
“ DECISI ad
assicurare mediante un'azione comune il progresso economico e sociale dei loro
paesi, eliminando le barriere che dividono l'Europa,
ASSEGNANDO ai loro sforzi per scopo
essenziale il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione
dei loro popoli,
RICONOSCENDO
che l'eliminazione degli ostacoli esistenti impone un'azione concertata intesa
a garantire la stabilità nell'espansione, l'equilibrio negli scambi e la lealtà
nella concorrenza,
SOLLECITI di
rafforzare l'unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso
riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno
favorite, “
Rileggendo questi
impegni non si può che constatare amaramente come essi siano stati
progressivamente svuotati di significato fino ad essere capovolti, perseguendo
esattamente l’ opposto !!
La difesa ad
oltranza di una decisione economicamente insensata come la creazione della
moneta unica senza alcuno dei presupposti indispensabili e la disoccupazione
causata dalle misure incoscienti di
“austerità” stanno forse avendo per
effetto “il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione
dei loro popoli “ o non piuttosto al contrario la disoccupazione e
l’impoverimento di intere nazioni ?!
Il dumping salariale, cioè la riduzione del
potere d’acquisto dei lavoratori e l’aumento esponenziale dei profitti delle
imprese come attuato dalla Germania
negli ultimi 10 anni è stato forse finalizzato a “a garantire la stabilità
nell'espansione, l'equilibrio negli scambi e la lealtà nella concorrenza” o
non è stato invece la causa fondamentale degli squilibri che hanno
travolto i Paesi periferici non più in grado di competere economicamente ?!
La priorità
assoluta assegnata alla difesa della sciagurata moneta unica con tutti i
marchingegni come “ombrelli di salvataggio”, “patti fiscali” , “congelamento
della spesa pubblica” da un lato e regali impressionanti e vergognosi di fondi
pubblici alla finanza coi cosiddetti “salvataggi delle banche” sta forse facendo avanzare gli Stati europei
verso “l'unità delle loro economie” assicurandone ” lo sviluppo
armonioso” e riducendo “ le disparità
fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite “ ?!
Con una mirabile
unità di intenti, degna di miglior causa,
politici e burocrati europei vanno a gara per sottrarre alle singole
nazioni ed accentrare a Bruxelles i
poteri decisionali in organismi privi di legittimità e trasparenza: la
Commissione Europea, organismo non elettivo, concretamente serve unicamente a
mettere in atto le volontà dei grandi gruppi finanziari ed industriali che non
a caso si fanno rappresentare a Bruxelles da ben 15.000 “lobbisti” :e sarebbe
più giusto chiamare costoro col loro vero nome, cioè “corruttori”, poiché la
loro funzione è molto banalmente quella di indurre i funzionari della lComunità
Europea a far approvare leggi e regolamenti per garantire sempre maggiori
profitti dei loro mandatari.
Economicamente le
decisioni sono rivelatrici: privatizzazione, e ancora privatizzazione.
Attualmente tanto
per fare un esempio, se non si riuscirà a sventare il tentativo in corso, anche
la gestione dell’acqua potabile verrà sottratta al controllo pubblico, poiché è
in elaborazione un regolamento europeo che imporrà la totale privatizzazione.
Inutile dunque
stupirsi se specialmente i giovani di questa Europa non sanno che farsene.
Se la
Comunità Europea dovesse continuare il
proprio cammino irresponsabile in questa direzione, non ci sono dubbi sulla sua fine: che non potrà essere molto
diversa da quella dell’Unione
Sovietica.
Continuando a calpestare i diritti delle nazioni ed a distruggerne
il futuro delle rispettive economie i "burontosauri" di Bruxell non meritano
certo miglior destino.
Ma per finire
ritorniamo al principio di Pareto: in
certi casi basta molto meno del 20 % delle cause per spiegare l’80 % delle
conseguenze.
Per la rovina economica dell’Italia è bastata una sola causa o meglio una sola persona (benchè sostenuta
da pressoché tutti i partiti) con le
sue assurde scelte di austerità contro ogni buon senso ha spinto il Paese in una recessione che richiederà anni per uscirne, sempre che non sia giá irreversibile.
Per intenderci: non stiamo parlando di un pazzo, ma di un "tecnico". Una "tecnica" di soluzione delle crisi che finirá certo sui futuri manuali di economia. Gli inglesi hanno un termine molto efficace per definire questo tipo di "tecniche" deliranti : "debunking" (interessante l'origine della parola).
In italiano si traduce con deridere, ma il corrispondente in efficacia sarebbe "sputt...are".
Keine Kommentare:
Kommentar veröffentlichen