Montag, 26. März 2018

Diversità linguistica o uniformità culturale ?

Contro l’accentramento burocratico, il livellamento culturale e la cancellazione delle diversità linguistiche nell’Unione Europea. L’esempio sorbo e considerazioni  sull’insegnamento delle lingue d’origine ai figli degli immigrati in Germania. (articolo preparato per <www.webgiornale.de>) 

Un esempio in Germania.
Amo la lingua tedesca di cui ero professore abilitato all’insegnamento nei licei in Italia.
Ma altrettanto se non di più amo le lingue minoritarie e quelli che comunemente sono chiamati dialetti (ma che per ogni linguista che si rispetti sono lingue degne del medesimo rispetto di quelle ufficialmente riconosciute come tali: e che si distinguono dai dialetti non per superiorità intrinseca ma unicamente perché dispongono di … un esercito e di una bandiera).
In Germania esistono varie minoranze etniche e linguistiche, ma una in particolare era stata oggetto di odio e repressione da parte del regime hitleriano: i Sorbi.
La loro lingua ( https://it.wikipedia.org/wiki/Lingue_sorabe) viene ora tutelata e insegnata in alcune scuole e nell’università di Lipsia esiste un dipartimento per il suo studio (Institut za sorabistiku).
Cè anche un quotidiano pubblicato in questa lingua, il “Serbske Nowiny” 
Il sorbo o sorabo è  indubbiamente una lingua slava, chi conosce il polacco ed il ceco riesce a comprenderla e ad apprenderla senza grosse difficoltà, usa l’alfabeto latino e si distingue immediatamente dal ceco perché invece della “v” utilizza la “w”.  La lingua sorba ha un notevole patrimonio letterario e culturale, basti ricordare che anche Gottfried Wilhelm Leibniz era di origini sorbe.
Il territorio di questa minoranza sorba alla fine della seconda guerra mondiale era venuto a trovarsi nell’area della RDT, che invece di continuare le persecuzioni del periodo precedente aveva concesso piena autonomia linguistica e organizzativa a livello regionale. Queste norme di tutela vennero recepite nel trattato della riunificazione tedesca, ma senza troppo entusiasmo tanto che all’inizio del secolo attuale ci furono proteste per il mancato rispetto degli accordi ed il taglio di fondi destinati alla tutela della lingua e cultura sorba. 

La situazione in Italia
In Italia le minoranze linguistiche sono ancora più numerose( Albanese, Catalano, Croato, Francese, Friulano, Greco, Ladino, Occitano, Sardo, Sloveno, Tedesco), ma a livello di insegnamento le iniziative sono lasciate ai privati. Negli anni 50’ il dialetto a scuola era assolutamente vietato e causa di punizioni. Successivamente invece di divieti coercitivi  si diffuse fra gli insegnanti la convinzione che l’uso del dialetto si dovesse combattere alle origini e quindi venne predicato ai genitori di “parlare soltanto italiano” coi figli. L’argomento per sostenere una simile folle concezione dell’ apprendimento linguistico era che i bambini non avrebbero avuto problemi di “interferenza linguistica” nell’apprendimento dell’italiano se fossero stati preservati dalla “nociva” esposizione al dialetto. Una convinzione tanto radicata quanto infondata (a dimostrare il contrario basti menzionare Pasolini, o il Nobel letteratura Dario Fo, che praticavano i dialetti anche come forma letteraria insieme all’italiano). Quasi che il cervello umano fosse come una torta, e che le lingue fossero “fette”, quindi ad ogni nuova lingua si rimpicciolissero le fette ! Eppure sono esattamente queste convinzioni assurde e scientificamente smentite e dimostrate del tutto infondate (anzi, vero è il contrario, più lingue si conoscono e più aumentano le capacità linguistico-espressive).

… e ritornando alla Germania, il caso dei figli degli immigrati.
Per la mia intera carriera professionale come insegnante d’Italiano ai figli degli emigrati in Germania ho constatato e – invano – combattuto contro questa falsa credenza. Su un punto mi sbagliavo: all’origine non c’era assolutamente alcuna riflessione linguistica o psicologica, ma unicamente una inconfessata “resistenza alla diversità” .
Infatti, mentre consigliavano ai genitori italiani, turchi, spagnoli di parlare tedesco coi figli, (fosse anche il “Gastarbeiter-Deutsch” !!) gli stessi docenti nulla avevano da obiettare all’introduzione della lingua inglese fin dalle prime classi. È vero, tanto male non ne poteva fare,e ben poco restava visto che era generalmente insegnata da … gente che non la conosceva. Interessante, en passant, il fatto che il medesimo consiglio non veniva di regola mai dato ai genitori greci: sapevano che gli avrebbero riso in faccia rispondendo a tono: “abbiamo mantenuto la nostra lingua in 500 anni di occupazione turca e la dovremmo abbandonare ora dietro i vostri assurdi consigli ?!
Ed infatti gli alunni di origine greca in casa parlavano regolarmente questa lingua coi genitori e finivano quasi tutti al ginnasio-liceo  poiché avendo appreso con sicurezza fin dalla nascita  una lingua che all’ingresso nella scuola padroneggiavano con sicurezza erano meglio in grado di apprendere poi il tedesco. Cosa purtroppo non vera per tutti gli altri bambini che, esposti al “Gastarbeiter-Deutsch” dei genitori entravano invece nella scuola privi di un patrimonio linguistico sviluppato e quindi non avevano le basi per un apprendimento proficuo del tedesco (esistono al proposito molti studi empirici che dimostrano la stretta relazione fra successo scolastico e padronanza della lingua d’origine).

Ma tant’è questa era la situazione. Debbo aggiungere tipicamente tedesca, poiché nei tre anni trascorsi a Parigi mai ebbi occasione di sentire da un solo insegnante francese analoghi pregiudizi. Che restano dunque localizzati geograficamente e che non riguardano soltanto i figli degli immigrati. Ne ebbi conferma quando incontrai per la prima volta un gruppo di insegnanti sorbi: anche loro dovevano lottare contro la medesima avversione al plurilinguismo da parte dei colleghi della lingua dominante.
Essendo stato professore di inglese abilitato all’insegnamento nei licei non ho certo personalmente nulla da obiettare alla diffusione dell’inglese che è di fatto divenuta la “lingua franca” in tutta Europa. Chiunque partecipi ad un “Erasmus Party”,  a Lisbona o a Parigi ,a Praga o Varsavia si renderà subito conto che la comunicazione fra gli studenti avviene esclusivamente in inglese, un inglese povero ovviamente, che poco a che fare ha con la lingua di Eliot o Fielding o Joyce. Quello che va bene a fini pratici in queste o analoghe occasioni (dove a volte bastano più che le parole gli sguardi) è comunque un codice ristretto e dunque la base della formazione linguistica  quale sostegno alla formazione dei concetti e del pensiero tout court deve essere la lingua pienamente padroneggiata dai genitori prima e coltivata ed insegnata poi come lingua di cultura  nelle scuole. Una situazione da cui in Europa siamo ancora ben lontani, rischiando di perdere un patrimonio di lingue che gli immigrati portano con se e che invece di tutelare e mantenere si cerca di distruggere nell'illusione di favorire una "integrazione" che in realtà è assimilazione pura e semplice se non brutale negazione della diversità e che è anche sempre ricchezza culturale per ogni Paese di accoglienza.  

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