Montag, 8. Juli 2013

  La Lettonia, l'euro ed il ponte tagliato sulla Beresina.

La Beresina è un affluente del Dnieper in Bielorussia  e non c'entra nulla né con la Lettonia né con l'euro.
Tuttavia la spinta di nuovi Stati come la Lettonia e (ma ancora con nulla di concreto, della Polonia) ad entrare nell'area dell'euro ricorda per molti versi un episodio della ritirata dell'esercito francese al termine della campagna di Russia.
Nel "Mulino del Po" di Riccardo Bacchelli il protagonista Lazzaro Scacerni racconta come  il 29 novembre 1812 le migliaia di soldati ritardatari si accalcavano sul ponte della Beresina non sapendo che Napoleone l'aveva fatto incendiare dopo averlo attraversato col grosso dell'esercito.
Giunti a metà del ponte i poveri disgraziati volevano tornare indietro, ma quelli che erano ancora sulla sponda li spingevano e cosí finivano a migliaia in acqua. Secondo gli storici ne morirono annegati o assiderati oltre 12.000.
I nuovi Stati che come la Croazia hanno ottenuto l'accesso all'Unione Europea e quelli che spingono per entrarci e peggio ancora, quelli che già essendo nell'Unione vogliono entrare anche nell'area euro ricordano da vicino il dramma dei soldati francesi sulla sponda orientale della Beresina: incalzati dalle truppe russe spingono verso il ponte che credono la loro salvezza e non sanno che sarà la loro dannazione, poiché non possono sentire la voce di quelli che giá sono caduti nel fiume.

Il caso della Lettonia recentemente promossa a 18.mo Paese dell'area euro è significativo per ciò che attende anche il resto dei Paesi periferici d'Europa. Se a prima vista si sarebbe tentati di spiegare semplicisticamente l'insensato tuffarsi nel baratro dell'eurozona come logica conseguenza di una tendenza suicida che statisticamente è purtroppo vera (la Lettonia è il secondo paese al mondo in questa lista di 108 Paesi stilata dall'OMS, dove l'Italia figura invece al 64.posto - fino al 2009, ora deve essere sicuramente avanzata), analizzando storia ed economia si comprendono i veri e seri motivi.
La cosa deve preoccupare ancora di più chi ancora spera in un'Europa dei popoli con un'economia cooperativa dal volto umano e non nell'attuale sgorbio di un'Europa della bancarotta e del trasfer più indecente dai meno abbienti ai superricchi, con dissolvimento della democrazia reale in un ingorgo di prevaricazioni burocratiche e aperta illegalità, sempre ricostruita a posteriori cambiando leggi e regole a discrezione del potere reale, che non é più quello politico - ridotto a marionetta - ma quello finanziario.

Divenuta indipendente nel 1991, la Lettonia aveva allora circa 2.700.000 abitanti. Ora ne ha meno di 2 milioni, con tendenza continua al ribasso dovuta ad un'emigrazione massiccia verso Norvegia, Regno Unito, Germania e oltremare, intorno al 2 % l'anno. Per un confronto: il pur gran numero di giovani emigrati dall'Italia è meno dell' 1 per mille.
Dall'indipendenza in poi 1/4 della popolazione è emigrata, dal 2008 il 10 % della forza lavoro giovanile. Ciononostante la disoccupazione é attualmente intorno al 15 %.
Il governo lettone sta facendo sforzi disperati per convincere gli emigrati al ritorno, poiché la mancanza di manodopera specializzata sta già mettendo in crisi l'economia del Paese. Ed è un'esigenza che però si scontra immediatamente con un'altra opposta: sono proprio le rimesse degli emigrati la vera ragione per cui il bilancio statale rientra nei criteri di Maastricht. Ancora una volta un Paese che uscito dalla repressione di "falce e martello" si trova si trova ora fra ... l'incudine ed il martello.

La Germania ha un grandissimo interesse ad accogliere gli emigrati lettoni poiché in genere essi conoscono il tedesco e sono distribuiti fra tutti i livelli di formazione, da quella più bassa fino a quella accademica, quindi ce n'è per tutte le esigenze dei settori produttivi tedeschi, col vantaggio che al momento in cui non servissero più si possono rispedire tutti in Lettonia, da dove continueranno a pagare i loro eventuali debiti che saranno garantiti in euro.
L'interesse tedesco alla Lettonia come prezioso serbatoio di manodopera non spiega però da solo il desiderio di accogliere il Paese nell'area euro, anche perché persistono gravi incertezze sulla tenuta finanziaria dei conti statali: il sistema bancario ha molto in comune con quello cipriota, il livello di corruzione non è decisamente basso, e molto probabilmente sui conti statali non è prudente fare troppo affidamento, come del resto su quelli di tutti i rimanenti Paesi dell'area euro.
La vera ragione  è tuttavia subito evidente: solo con l'euro la Lituania sarà legata indissolubilmente al mercato dell'Europa centrale, dunque lo sbocco per i prodotti tedeschi sarà garantito senza sorprese poiché con l'Euro la Lettonia non potrà più svalutare per difendersi.
E questo è esattamente il ponte tagliato che anche la Lettonia dalla sponda non vede. E che i governanti scellerati di tutti i Paesi dell'area mediterranea fingono di non vedere, rifiutandosi di prendere atto di una realtà innegabile come la fine della moneta unica, esattamente come i dotti al tempo di Galileo si rifiutavano di guardare nel suo cannocchiale ben sapendo che avrebbero poi dovuto ammettere l'evidenza dell'errore tolemaico e riconoscere la  giustezza del sistema copernicano. 

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