Donnerstag, 14. Februar 2013

  La politica economica della Comunità Europea ed il  “principio di Pareto”  


Dall’antichità greca in poi lo studio dell’economia è divenuto tema centrale del pensiero politico e filosofico. Negli ultimi due secoli strumenti matematici e statistici sempre più raffinati hanno cercato di spiegare il funzionamento dell’economia, innumerevoli modelli, teorie, leggi e  metodi di analisi hanno cercato finora invano di dare risposta a quello che è o dovrebbe essere il problema fondamentale: come deve svolgersi il processo produttivo e distributivo per garantire  il maggior benessere a tutti evitando le crisi.
Un settore specifico della ricerca si è dedicato allo studio delle crisi periodiche, e in questi giorni ricorre il 130 anniversario della nascita di J. A. Schumpeter (l’anno della scomparsa di Marx), che è stato uno dei maggiori esponenti di questo indirizzo di ricerca, i cui più recenti e promettenti sviluppi si ritrovano negli studi di Hyman Minsky.  

Almeno due italiani (oltre all’inventore della partita doppia, Luca Pacioli, conosciuto anche dai ragionieri) sono noti in tutto il mondo agli studenti di economia: Piero Sraffa e Vilfrido Pareto.  La teoria di Sraffa è ancora attualissima ma merita una riflessione specifica che rimando ad un prossimo intervento.

Vorrei qui invece molto banalmente trattare un aspetto sul quale nelle discussioni contemporanee si sorvola  dandolo per scontato ma che a mio avviso è invece fondamentale per capire il perché le crisi economiche non possono essere evitate (essendo inerenti ai sistemi, tutti compresi e nessuno escluso), ma secondo le strategie con cui vengono affrontate si può in certa misura prevedere lo svolgimento delle crisi successive e la durata del periodo intercorrente fra il superamento della crisi in atto e l’insorgere della prossima.
Il criterio fondamentale da seguire è lo studio della redistribuzione del reddito al termine della crisi ed il riposizionamento relativo degli attori del processo economico (in quanto potere di decisione su di esso): imprese, sindacati, lavoratori.

Un punto spesso dimenticato è che non si può parlare di economia senza tener conto dei condizionamenti politici cioè degli interventi statali. Anche i fautori più estremi del liberismo riconoscono funzioni essenziali all’intervento statale, a cominciare dalla politica monetaria.

E di converso anche i più estremi fautori dell’intervento statale pianificatore tipico delle economie cosiddette comuniste ammettono i limiti dell’intervento (che comunque per quanto dissimulati sono sempre ben evidenti perché di regola i piani si rivelano irrealizzabili).

Su ambedue i tipi di atteggiamento – intervento massimo o minimo dello Stato - ha qualcosa da dire la teoria nota sotto il nome di “principio di Pareto” (in dettaglio frutto di un complesso calcolo matematico originato da osservazioni empiriche), volgarizzato nella formula 80/20, cioè l’80 % dei fenomeni sarebbero dovuti al 20 % della cause. 
Vilfrido Pareto, meglio noto come sociologo ma con notevoli contributi alla teoria economica, aveva rilevato con osservazioni statistiche sulla distribuzione della proprietà in Italia, Germani e Svizzera che con sorprendente costanza, ovunque circa il 20 %  della popolazione possedeva l’80 % delle risorse.  Empiricamente il principio ha un’ utilizzazione pratica poiché serve a concentrare gli sforzi di indagine sui fattori decisivi, e può servire in economia se congiunta al principio noto come “Mastello di Dobenek”  (cioè “legge del  minimo”: è la quantità minima di un elemento indispensabile che condiziona qualunque processo produttivo, quindi è inutile aumentare gli altri elementi se non si accresce quello minimo ma determinante).
Insieme alle altre tre leggi: delle “proporzioni definite”, della “produttività decrescente” e di quella “marginale” anche questo è uno dei  principi mai ancora smentiti in economia.  

Applicati al caso delle crisi in atto, il principio di Pareto e la legge del minimo avrebbero suggerito immediatamente le migliori vie da seguire per il loro superamento, che sono state invece tutte scrupolosamente evitate. E altrettanto scrupolosamente gli interventi politici hanno privilegiato esattamente le scelte più errate. 

Ritorniamo un attimo all’origine di quella che viene spacciata per crisi del debito pubblico (o sovrano):  si è fatto credere che la sua origine fosse appunto l’impossibilità per questi Stati di ottenere altri prestiti poiché i creditori temevano la perdita dei capitali prestati.
Questo timore a sua volta era conseguenza del livello del debito, che sarebbe stato superiore agli introiti fiscali presumibili. In altre parole questi Stati avrebbero avuto un bilancio pubblico deficitario. Di qui la prima falsificazione dei fatti, volgarizzata nella formula “hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità” fino alle più becere e razziste affermazioni tipo “i Greci vivono a spese dei risparmiatori tedeschi”.        
Orbene, gli introiti fiscali sono notoriamente in funzione dell’andamento del reddito, essendo prelevati appunto da salari, stipendi e profitti delle imprese. Il prelievo può essere più o meno efficiente ed equo, ma è  soggetto a limiti ben definiti e ogni scelta in questo settore ha immediate ripercussioni non solo sull’andamento dell’economia ma sul gettito reale stesso (la nota curva di Laffer segnala che aumentando l’aliquota di prelievo oltre un certo punto il gettito fiscale lungi dal crescere diminuisce).

Quindi, applicando il principio di Pareto, fra il 20 % di cause figurava, insieme alle spese eccessive (chiamiamoli pure sprechi),  anche e soprattutto l’insufficiente prelievo fiscale. Ma immediatamente, riapplicando lo stesso principio a questo fatto - visto ora come conseguenza,  fra il 20 % delle cause era facilmente individuabile la diminuita capacità contributiva, cioè il rallentamento dell’economia immediatamente riscontrabile nella crescente disoccupazione.
Questo rallentamento dell’economia aveva cause diverse e comunque non legate direttamente all’indebitamento eccessivo degli Stati in questione, ma di origine globale (crisi finanziaria originata dalla bolla immobiliare USA, ecc.). 

Le strategie da seguire avrebbero dovuto procedere esattamente in modo inverso rispetto alle cause:  rilancio dell’occupazione, crescita economica, aumento della capacità contributiva e contemporaneamente riduzione delle spese, sempre tenendo presente che tale riduzione non finisse per avere l’effetto indesiderato e fatale di  bloccare la crescita economica.

Sappiamo che è stato fatto esattamente l’opposto: e che la scelta idiota dell’austerità ad ogni costo si è rivelata cura letale finendo per mandare in coma il paziente invece di guarirlo. Ciò non ultimo per il fatto che la cura di “austerità” è stata riservata alle categorie di popolazione  meno abbienti e quindi evidentemente  non poteva dare che scarsi risultati, ottenibili invece se si fossero toccate le grandi rendite ed i profitti  del mondo finanziario,che è quello che dalla crisi più ha guadagnato e continua ad approfittare.

La disoccupazione soprattutto giovanile in Europa sta distruggendo insieme all’economia anche la democrazia, e senza un’inversione di rotta finirà per affossare il processo di unificazione europea così come era stato concepito dai  fondatori della Comunità Europea nel Trattato di Roma, col quale si erano solennemente: 
 “ DECISI ad assicurare mediante un'azione comune il progresso economico e sociale dei loro paesi, eliminando le barriere che dividono l'Europa,
ASSEGNANDO ai loro sforzi per scopo essenziale il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei loro popoli,
RICONOSCENDO che l'eliminazione degli ostacoli esistenti impone un'azione concertata intesa a garantire la stabilità nell'espansione, l'equilibrio negli scambi e la lealtà nella concorrenza,
SOLLECITI di rafforzare l'unità delle loro economie e di assicurarne lo sviluppo armonioso riducendo le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite, “

Rileggendo questi impegni non si può che constatare amaramente come essi siano stati progressivamente svuotati di significato fino ad essere capovolti, perseguendo esattamente l’ opposto !!

La difesa ad oltranza di una decisione economicamente insensata come la creazione della moneta unica senza alcuno dei presupposti indispensabili e la disoccupazione causata dalle misure  incoscienti di “austerità”  stanno forse avendo per effetto “il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei loro popoli “ o non piuttosto al contrario la disoccupazione e l’impoverimento di intere nazioni ?!

Il dumping salariale, cioè la riduzione del potere d’acquisto dei lavoratori e l’aumento esponenziale dei profitti delle imprese come  attuato dalla Germania negli ultimi 10 anni è stato forse finalizzato a “a garantire la stabilità nell'espansione, l'equilibrio negli scambi e la lealtà nella concorrenza” o non è stato invece la causa fondamentale degli squilibri che hanno travolto i Paesi periferici non più in grado di competere economicamente ?!

La priorità assoluta assegnata alla difesa della sciagurata moneta unica con tutti i marchingegni come “ombrelli di salvataggio”, “patti fiscali” , “congelamento della spesa pubblica” da un lato e regali impressionanti e vergognosi di fondi pubblici alla finanza coi cosiddetti “salvataggi delle banche”  sta forse facendo avanzare gli Stati europei verso “l'unità delle loro economie” assicurandone ” lo sviluppo armonioso” e  riducendo “ le disparità fra le differenti regioni e il ritardo di quelle meno favorite “ ?!

Con una mirabile unità di intenti, degna di miglior causa,  politici e burocrati europei vanno a gara per sottrarre alle singole nazioni ed accentrare a Bruxelles i  poteri decisionali in organismi privi di legittimità e trasparenza: la Commissione Europea, organismo non elettivo, concretamente serve unicamente a mettere in atto le volontà dei grandi gruppi finanziari ed industriali che non a caso si fanno rappresentare a Bruxelles da ben 15.000 “lobbisti” :e sarebbe più giusto chiamare costoro col loro vero nome, cioè “corruttori”, poiché la loro funzione è molto banalmente quella di indurre i funzionari della lComunità Europea a far approvare leggi e regolamenti per garantire sempre maggiori profitti dei loro mandatari. 

Economicamente le decisioni sono rivelatrici: privatizzazione, e ancora privatizzazione.
Attualmente tanto per fare un esempio, se non si riuscirà a sventare il tentativo in corso, anche la gestione dell’acqua potabile verrà sottratta al controllo pubblico, poiché è in elaborazione un regolamento europeo che imporrà la totale privatizzazione.

Inutile dunque stupirsi se specialmente i giovani di questa Europa non sanno che farsene.
Se la Comunità  Europea dovesse continuare il proprio cammino irresponsabile in questa direzione,  non ci sono dubbi sulla sua fine: che non potrà essere molto diversa da quella  dell’Unione Sovietica.
Continuando a calpestare i diritti delle nazioni ed a distruggerne il futuro delle rispettive economie i "burontosauri" di Bruxell non meritano certo miglior destino.  

Ma per finire ritorniamo al principio di Pareto:  in certi casi basta molto meno del 20 % delle cause per spiegare l’80 % delle conseguenze.
Per la rovina economica dell’Italia è bastata una sola causa  o meglio una sola persona (benchè sostenuta da pressoché tutti i partiti)  con le sue assurde scelte di austerità contro ogni buon senso ha spinto il Paese in una recessione che richiederà anni per uscirne, sempre che non sia giá irreversibile.
Per intenderci: non stiamo parlando di un pazzo, ma di un "tecnico". Una "tecnica" di soluzione delle crisi che finirá certo sui futuri manuali di economia. Gli inglesi hanno un termine molto efficace per definire questo tipo di "tecniche" deliranti : "debunking" (interessante l'origine della parola). 
In italiano si traduce con deridere, ma il corrispondente in efficacia sarebbe "sputt...are". 

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