In difesa delle lingue quali luoghi di identità.
La lezione del poliglotta e Premio Nobel letteratura Elias Canetti : sua attualità in epoca di linguicidi.
Una delle opere
di Elias Canetti ,la cui lettura mi aveva profondamente commosso era stata la
prima parte della sua autobiografia, “Die gerettete Zunge” (“La lingua
salvata”).
Un’opera quanto
mai attuale di questo scrittore poliglotta, di cui oggi ricorrono 120 anni
dalla nascita in Bulgaria, in una città dove “in un solo giorno si potevano
sentire sette o otto lingue”. Canetti tuttavia sempre si identificò nella lingua tedesca
quale lingua madre nel vero senso della parola poiché l’apprese appunto non da
bambino ma già quasi adolescente dalla madre e con un metodo che farebbe
arricciare il naso ai moderni glottologi, ma che si rivelò tanto efficace da
aprirgli la strada al Nobel per la letteratura col suo primo romanzo in lingua
tedesca “Die Blendung” (“Auto da Fe” il titolo dell’edizione sia
inglese che italiana).
L’episodio da cui
si origina il titolo ha a che fare con la lingua intesa in senso anatomico:
l’amante della sua governante minacciava quotidianamente Elias allora infante
del taglio della lingua se avesse rivelato la frequentazione amorosa. Ma a
questo significato occasionale è unicamente l’inizio della riflessione che
porterà Canetti a considerare il legame stretto fra identità e lingua. Sappiamo
che rifiuterà di usare l’inglese che pur bene padroneggiava per le sue opere
letterarie rimanendo fedele invece al tedesco che per lui era una lingua
conquistata con un apprendimento faticoso e volontario e grande passione e non
acquisita da bambino come era avvenuto per il ladino ed il bulgaro.
La difesa del
tedesco divenne nel suo caso ancora più energica quando, fuggendo dalla
barbarie hitleriana, considerò un suo dovere e punto d’onore difendere e
distinguere il tedesco come lingua di cultura dall’immagine di essa come lingua
del regime hitleriano.
Questo è il modo
corretto di identificare nelle lingue i valori culturali e tradizionali al di là
ed indipendentemente dall’uso politico di date epoche: non perché nel periodo
hitleriano ad es., si straparlava di “Kriegstüchtigkeit”,
concetto che oggi torna quotidianamente nei discorsi degli attuali governanti
tedeschi (1) , la lingua tedesca doveva o deve essere aborrita: vale cioè la
distinzione fra strumento e uso.
Canetti avrebbe
oggi molto da insegnare in materia di rispetto delle lingue all’UE.
Se notoriamente
tutti i regimi fascisti hanno sempre avuto come prima misura coercitiva la
dominazione linguistica di un solo idioma nazionale sopprimendo tutte le lingue
delle minoranze (cosí fu del sorbo in Germania nel periodo hitleriano, del
catalano e del basco in Spagna nel periodo franchista, cosí cercò di fare anche
Mussolini scimmiottando Hitler e Franco (facendo cambiare addirittura la
toponomastica in lingua francese o slava) e in modo ancor più ridicolo i nomi
di artisti (Louis Armstrong doveva essere chiamato “Braccioforte”) .
Ma nel caso
dell’UE la contraddizione è ancor più perfida da un lato e ridicola ed
insensata dall’altro. Una direttiva europea stabilisce ad esempio incentivi e
finanziamenti per le lingue a rischiosi scomparsa o comunque minoritarie. Ad
es. in Piemonte vengono finanziati corsi di lingua occitana, quella che ritroviamo
anche in una famosa terzina dantesca e che era una delle più antiche lingue
letterarie prima delle crociate papali contro gli “eretici” Albigesi e Catari
che fortunatamente non venne cancellata nonostante i ripetuti massacri.
Così è di molte
altre lingue minoritarie giustamente tutelate: ma sempre con meno impegno ed
entusiasmo. Ad esempio la richiesta del governo spagnolo di annoverare fra le
lingue ufficiali dell’UE sia il catalano che il basco è stata rifiutata dalla
Commissione UE con la motivazione dei costi che comporterebbe, calcolati in 132
milioni di euro annuali per interpreti e traduttori. Sembra una cifra notevole,
ma insignificante rispetto agli 81 miliardi di euro prelevati dal bilancio
dell’UE ed inviati al governo ucraino, che nella prima legge emanata dopo il
colpo di stato USA nel 2014 abolì l’uso della lingua russa parlata da tutti gli
ucraini (compreso l’attuale decaduto presidente !). Dunque come il basco e il
catalano parlate da circa 10 milioni di abitanti non meritano di essere riconosciute
lingue ufficiali dell’UE. Lo sono
invece le lingue di Lettonia, Estonia, Lituania, Slovenia e Malta che non
raggiungono in totale gli 8 milioni e mezzo. Ma i fondi che mancherebbero per il basco ed il
catalano si trovano invece per finanziare la vittoria di un governo come quello
ucraino che ha come obiettivo la cancellazione della lingua russa parlata
appunto da oltre 8 milioni di cittadini come prima lingua (ma di fatto
utilizzata da tutti fin quando non venne vietata).
L’ipocrisia
dell’UE è dunque al culmine dal momento che ad es. nel 2022 ha investito 81
miliardi per cancellare il russo ma rifiuta di investire lo 0,16 % di questa
somma per conferire lo status di lingue ufficiali a basco e catalano.
Ma tornando alla
concezione di Canetti sulla funzione
delle lingue ecco un’opinione apparentemente contradditoria per uno scrittore
che ha come unico strumento appunto la lingua: “Ho capito che le persone si
parlano ma non si capiscono; che le loro parole sono spinte che rimbalzano
sulle parole degli altri; che non c'è illusione più grande della convinzione
che il linguaggio sia un mezzo di comunicazione tra le persone. Uno parla
all'altro, ma in modo tale da non capire se stesso... Come palle, le
esclamazioni rimbalzano avanti e indietro, sferrano le loro spinte e cadono a
terra.”(2)
Ma la
contraddizione è soltanto apparente e si spiega con l’altra funzione
linguistica, quella dell’identità: i parlanti sono essi stessi distinti individui proprio per l’uso personale della
lingua con cui si identificano. Ma anche qui, paradossalmente, come teorizzato
nel romanzo già citato (Die Blendung) Canetti descrive una funzione
anticomunicativa della lingua, quella che chiama appunto la “maschera
acustica”, cioè la scelta di uno stile di linguaggio individuale finalizzato a
coprire, mascherare la vera identità distinguendosi e dissolvendosi nella
massa. Sappiamo che Canetti usava trascorrere molto tempo ad ascoltare
conversazioni in locali pubblici o con persone di sua conoscenza cercando di
raccoglierne e catalogarne le peculiarità, un qualcosa di analogo a quando
faceva Leoš Janáček trascrivendo in notazione musicale i tratti melodici e
ritmici delle conversazioni che ascoltava nelle situazioni quotidiane più
disparate (3).
In questa epoca
non soltanto di genocidi ma anche di linguicidi vediamo riconfermato il valore
centrale del linguaggio umano, nelle sue infinite varianti di lingue, di stili
e di usi idiosincratici come costruzione di identità e quindi in definitiva
come tratto essenziale umano.
Privare una
nazione o un gruppo etnico anche una persona
della propria lingua è un crimine ed è anche, come nell’esempio ucraino,
all’origine di conflitti insanabili.
Negli anni ’90 la
linguista finlandese Tove Skuttnab-Kangas (scomparsa nel 2023, che ebbi l’onore di conoscere di
persona) aveva coniato il termine
“Linguicide”, linguicidio per designare gli attacchi distruttivi alle
lingue minoritarie ed in particolare degli immigrati. In particolare nel caso
tedesco aveva provocativamente affermato che in Germania erano stati più
efficienti nell’estirpare il curdo non le dittature turche in patria ma gli
insegnanti tedeschi che consigliavano
ai genitori immigrati dalla Turchia di non parlare il curdo coi figli ma solo
il tedesco. Orbene, o per ignoranza
delle dinamiche di apprendimento da parte di docenti o per repressione da parte
dell’autorità, le lingue tutte sono costantemente in pericolo e non soltanto
per un divieto d’uso ma per un loro sgretolamento imposto dai media che
impongono ciò che si può dire e coniano in continuazione termini finalizzati a
nascondere i fatti ed a impedire che con ragionamento logico i cittadini
scoprano le contraddizioni della progressiva censura, in altre parole la
chiusura degli ambiti che possono essere messi in discussione per convogliare
il pensiero nella direzione voluta dai governanti, che siano essi veri
detentori del potere o semplici marionette al servizio di altri superiori
poteri che li manovrano.
Dunque libere lingue in libero Stato e resistenza contro ogni forma di
recinzione e soppressione delle opinioni.
(1) “Kriegstüchtigkeit” è termine composot da due
lemmi: Krieg = ”guerra” e “Tüchtigkeit” = capacità, competenza.
Dunque la traduzione in “capacità bellica” è un ossimoro poiché unisce
due concetti opposti, uno negativo, la guerra, l’altro positivo, la capacità.
Il termine era già in uso nell’epoca prussiana (la Prussia non era “uno stato
difeso da un esercito” ma un” esercito
mantenuto da uno stato”). L’uso di
questo termine servì poi a giustificare il riarmo del Reich tedesco come grande
potenza nell'Europa centrale e dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale
venne ripreso nella propaganda del nazionalsocialismo. La fusione di capacità
bellica e capacità difensiva ritorna ai giorni nostri in funzione ancora più
aggressiva poiché predomina la dimensione aggressiva (sconfitta strategica
della Russia).
(2) In: Manfred
Durzak,Gespräch über den Roman. 1976,
S. 90
(3)
Cfr. Otakar Nováček, Leoš
Janáček a jeho teorie nápěvků mluvy, 1941 (L.J. and his theory of speech
melodies).