Donnerstag, 24. Juli 2025

In difesa delle lingue quali luoghi di identità. 

La lezione del poliglotta e Premio Nobel letteratura Elias Canetti : sua attualità in epoca di linguicidi.


Una delle opere di Elias Canetti ,la cui lettura mi aveva profondamente commosso era stata la prima parte della sua autobiografia, “Die gerettete Zunge” (“La lingua salvata”).

Un’opera quanto mai attuale di questo scrittore poliglotta, di cui oggi ricorrono 120 anni dalla nascita in Bulgaria, in una città dove in un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue”. Canetti tuttavia sempre si identificò nella lingua tedesca quale lingua madre nel vero senso della parola poiché l’apprese appunto non da bambino ma già quasi adolescente dalla madre e con un metodo che farebbe arricciare il naso ai moderni glottologi, ma che si rivelò tanto efficace da aprirgli la strada al Nobel per la letteratura col suo primo romanzo in lingua tedesca “Die Blendung” (“Auto da Fe” il titolo dell’edizione sia inglese che italiana).

L’episodio da cui si origina il titolo ha a che fare con la lingua intesa in senso anatomico: l’amante della sua governante minacciava quotidianamente Elias allora infante del taglio della lingua se avesse rivelato la frequentazione amorosa. Ma a questo significato occasionale è unicamente l’inizio della riflessione che porterà Canetti a considerare il legame stretto fra identità e lingua. Sappiamo che rifiuterà di usare l’inglese che pur bene padroneggiava per le sue opere letterarie rimanendo fedele invece al tedesco che per lui era una lingua conquistata con un apprendimento faticoso e volontario e grande passione e non acquisita da bambino come era avvenuto per il ladino ed il bulgaro.  

La difesa del tedesco divenne nel suo caso ancora più energica quando, fuggendo dalla barbarie hitleriana, considerò un suo dovere e punto d’onore difendere e distinguere il tedesco come lingua di cultura dall’immagine di essa come lingua del regime hitleriano. 

Questo è il modo corretto di identificare nelle lingue i valori culturali e tradizionali al di là ed indipendentemente dall’uso politico di date epoche: non perché nel periodo hitleriano ad es.,  si straparlava di “Kriegstüchtigkeit”, concetto che oggi torna quotidianamente nei discorsi degli attuali governanti tedeschi (1) , la lingua tedesca doveva o deve essere aborrita: vale cioè la distinzione fra strumento e uso. 

 

Canetti avrebbe oggi molto da insegnare in materia di rispetto delle lingue all’UE. 

Se notoriamente tutti i regimi fascisti hanno sempre avuto come prima misura coercitiva la dominazione linguistica di un solo idioma nazionale sopprimendo tutte le lingue delle minoranze (cosí fu del sorbo in Germania nel periodo hitleriano, del catalano e del basco in Spagna nel periodo franchista, cosí cercò di fare anche Mussolini scimmiottando Hitler e Franco (facendo cambiare addirittura la toponomastica in lingua francese o slava) e in modo ancor più ridicolo i nomi di artisti (Louis Armstrong doveva essere chiamato “Braccioforte”) .

Ma nel caso dell’UE la contraddizione è ancor più perfida da un lato e ridicola ed insensata dall’altro. Una direttiva europea stabilisce ad esempio incentivi e finanziamenti per le lingue a rischiosi scomparsa o comunque minoritarie. Ad es. in Piemonte vengono finanziati corsi di lingua occitana, quella che ritroviamo anche in una famosa terzina dantesca e che era una delle più antiche lingue letterarie prima delle crociate papali contro gli “eretici” Albigesi e Catari che fortunatamente non venne cancellata nonostante i ripetuti massacri.

Così è di molte altre lingue minoritarie giustamente tutelate: ma sempre con meno impegno ed entusiasmo. Ad esempio la richiesta del governo spagnolo di annoverare fra le lingue ufficiali dell’UE sia il catalano che il basco è stata rifiutata dalla Commissione UE con la motivazione dei costi che comporterebbe, calcolati in 132 milioni di euro annuali per interpreti e traduttori. Sembra una cifra notevole, ma insignificante rispetto agli 81 miliardi di euro prelevati dal bilancio dell’UE ed inviati al governo ucraino, che nella prima legge emanata dopo il colpo di stato USA nel 2014 abolì l’uso della lingua russa parlata da tutti gli ucraini (compreso l’attuale decaduto presidente !). Dunque come il basco e il catalano parlate da circa 10 milioni di abitanti non meritano di essere riconosciute lingue ufficiali dell’UE.  Lo sono invece le lingue di Lettonia, Estonia, Lituania, Slovenia e Malta che non raggiungono in totale gli 8 milioni e mezzo. Ma i fondi  che mancherebbero per il basco ed il catalano si trovano invece per finanziare la vittoria di un governo come quello ucraino che ha come obiettivo la cancellazione della lingua russa parlata appunto da oltre 8 milioni di cittadini come prima lingua (ma di fatto utilizzata da tutti fin quando non venne vietata).

L’ipocrisia dell’UE è dunque al culmine dal momento che ad es. nel 2022 ha investito 81 miliardi per cancellare il russo ma rifiuta di investire lo 0,16 % di questa somma per conferire lo status di lingue ufficiali a basco e catalano.

 

Ma tornando alla concezione di Canetti  sulla funzione delle lingue ecco un’opinione apparentemente contradditoria per uno scrittore che ha come unico strumento appunto la lingua: “Ho capito che le persone si parlano ma non si capiscono; che le loro parole sono spinte che rimbalzano sulle parole degli altri; che non c'è illusione più grande della convinzione che il linguaggio sia un mezzo di comunicazione tra le persone. Uno parla all'altro, ma in modo tale da non capire se stesso... Come palle, le esclamazioni rimbalzano avanti e indietro, sferrano le loro spinte e cadono a terra.”(2)

Ma la contraddizione è soltanto apparente e si spiega con l’altra funzione linguistica, quella dell’identità: i parlanti sono essi stessi distinti  individui proprio per l’uso personale della lingua con cui si identificano. Ma anche qui, paradossalmente, come teorizzato nel romanzo già citato (Die Blendung) Canetti descrive una funzione anticomunicativa della lingua, quella che chiama appunto la “maschera acustica”, cioè la scelta di uno stile di linguaggio individuale finalizzato a coprire, mascherare la vera identità distinguendosi e dissolvendosi nella massa. Sappiamo che Canetti usava trascorrere molto tempo ad ascoltare conversazioni in locali pubblici o con persone di sua conoscenza cercando di raccoglierne e catalogarne le peculiarità, un qualcosa di analogo a quando faceva Leoš Janáček trascrivendo in notazione musicale i tratti melodici e ritmici delle conversazioni che ascoltava nelle situazioni quotidiane più disparate (3).

In questa epoca non soltanto di genocidi ma anche di linguicidi vediamo riconfermato il valore centrale del linguaggio umano, nelle sue infinite varianti di lingue, di stili e di usi idiosincratici come costruzione di identità e quindi in definitiva come tratto essenziale umano.

Privare una nazione o un gruppo etnico anche una persona  della propria lingua è un crimine ed è anche, come nell’esempio ucraino, all’origine di conflitti insanabili.

Negli anni ’90 la linguista finlandese Tove Skuttnab-Kangas (scomparsa nel 2023, che ebbi l’onore di conoscere di persona) aveva coniato il termine  “Linguicide”, linguicidio per designare gli attacchi distruttivi alle lingue minoritarie ed in particolare degli immigrati. In particolare nel caso tedesco aveva provocativamente affermato che in Germania erano stati più efficienti nell’estirpare il curdo non le dittature turche in patria ma gli insegnanti tedeschi che  consigliavano ai genitori immigrati dalla Turchia di non parlare il curdo coi figli ma solo il tedesco.  Orbene, o per ignoranza delle dinamiche di apprendimento da parte di docenti o per repressione da parte dell’autorità, le lingue tutte sono costantemente in pericolo e non soltanto per un divieto d’uso ma per un loro sgretolamento imposto dai media che impongono ciò che si può dire e coniano in continuazione termini finalizzati a nascondere i fatti ed a impedire che con ragionamento logico i cittadini scoprano le contraddizioni della progressiva censura, in altre parole la chiusura degli ambiti che possono essere messi in discussione per convogliare il pensiero nella direzione voluta dai governanti, che siano essi veri detentori del potere o semplici marionette al servizio di altri superiori poteri che li manovrano.

Dunque libere lingue in libero Stato e resistenza contro ogni forma di recinzione e soppressione delle opinioni.

 (1)     “Kriegstüchtigkeit” è termine composot da due lemmi: Krieg = ”guerra” e “Tüchtigkeit” = capacità, competenza. Dunque la traduzione in “capacità bellica” è un ossimoro poiché unisce due concetti opposti, uno negativo, la guerra, l’altro positivo, la capacità. Il termine era già in uso nell’epoca prussiana (la Prussia non era “uno stato difeso da un esercito”  ma un” esercito mantenuto da uno stato”).  L’uso di questo termine servì poi a giustificare il riarmo del Reich tedesco come grande potenza nell'Europa centrale e dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale venne ripreso nella propaganda del nazionalsocialismo. La fusione di capacità bellica e capacità difensiva ritorna ai giorni nostri in funzione ancora più aggressiva poiché predomina la dimensione aggressiva (sconfitta strategica della Russia). 

(2)     In: Manfred Durzak,Gespräch über den Roman. 1976, S. 90 

(3)    Cfr. Otakar Nováček, Leoš Janáček a jeho teorie nápěvků mluvy, 1941 (L.J. and his theory of speech melodies).


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