Freitag, 3. August 2018

Non col ferro ... ma con l'oro.  

Come l’Italia potrebbe uscire dall’euro senza drammi e senza spese.

I problemi del debito pubblico (“sovrano”) italiano si sono acutizzati alle soglie dell’introduzione dell’euro, come conseguenza dell’inserimento dell’Italia nel “serpentone monetario”, l’anticamera ideata per giustificare l’esperimento – assurdo e nato morto – dell’euro.
Nell’anno 1999 il debito pubblico (cioè le obbligazioni emesse dallo Stato) era detenuto per il 25 % dagli italiani e per il 27 % da stranieri (1).
Come è noto la crisi economica del 2008 iniziò a falcidiare i risparmi degli italiani, che dovettero ridurre gli acquisti di BOT e simili certificati di debito pubblico, comprati invece da stranieri, come confermano eloquentemente questi dati:
anno 2011: obbligazioni detenute per il   21 % da italiani, per il 40 % da stranieri
anno 2014 : obbligazioni detenute per il  13 % da italiani, per il 33 % da stranieri
anno 2018 : obbligazioni detenute per il   6 % da italiani, per il 32 % da stranieri
Dunque gli interessi del debito pubblico che nel 1999 finivano per ¼ in mano agli italiani, ora finiscono per quasi 1/3 in mano agli stranieri. Soltanto il magro 6% è ancora in mano agli italiani, e non potrebbe essere altrimenti visto l’impoverimento progressivo indotto dalla disastrosa moneta unica e dalle ancor più disastrose ed insensate politiche di austerità.

Quant’è in misura assoluta il debito pubblico italiano ? Dati di maggio 2018: 2.327 miliardi di euro (2). Rispetto al PIL intorno al 132 %, cioè 32 % in più del prodotto interno lordo di un anno. Questo debito è finanziato soltanto per il 6 % dagli Italiani, quindi gli interessi che lo Stato paga per finanziare questo debito finiscono (v. sopra, per il 32 %,  cinque volta tanto) in mano a stranieri.
Ad aggravare la situazione interviene inoltre il fatto che a dettare il livello di interesse sono i compratori, e quindi sono di fatto gli investitori stranieri che decidono quanto farsi pagare dallo Stato italiano. L'Italia grazie all'euro è finita in balia degli speculatori internazionali, indifesa. 
Questi certo sono fatti noti, li riporto unicamente per riassumere i dati di partenza della successiva riflessione.  
L’Italia nell’ultimo decennio ha perduto larga parte delle proprie capacità industriali, quindi  mercati esteri e possibilità di esportazione. Quote recuperate in larga parte dalla Germania, che praticando sistematicamente la moderazione salariale per liquidare la concorrenza degli altri Paesi dell’UE  (un singolare metodo di praticare la “cooperazione europea” che la Germania invoca dagli altri Paesi dell’Unione!) offre della propria economia un quadro rassicurante per gli investitori (profitti elevati e poca tutela dei lavoratori) e quindi riesce a piazzare le proprie obbligazioni addirittura a tassi di interesse nullo o negativo.
Tuttavia l’Italia avrebbe un asso nella manica che finora non ha utilizzato: possiede subito dopo USA, Germania e  FMI le quarte maggiori riserve auree mondiali (3).
Queste riserve finché restano nei forzieri non rendono nulla, ma  se fossero utilizzate per garantire il debito pubblico, cioè se ad es. le obbligazioni emesse fossero convertibili in oro, in tutto o in parte, l’Italia non avrebbe concorrenti a livello europeo e potrebbe piazzare il proprio debito anche a tassi nulli o negativi come la Germania: quello che volgarmente viene chiamato “spread” rispetto ai tassi tedeschi si invertirebbe a favore dell’Italia.
Certo la Germania ha riserve auree maggiori dell’Italia e potrebbe fare lo stesso gioco: ma  ben difficilmente un qualunque governo tedesco avrebbe la forza politica di presentare una tale misura a cittadini che già detestano l’euro e nutrono nostalgie per il vecchio marco. Nessun governo tedesco rischierebbe il suicidio politico proponendo una vendita di oro contro euro.    
Per l’Italia il caso è diverso, i cittadini sanno che prima o poi si finirà per dover non dico vendere ma regalare il patrimonio pubblico (industrie, infrastrutture) tramite le “privatizzazioni” obbligatorie per sanare il debito pubblico insostenibile. In altre parole, incombe sull'Italia il destino della Grecia, denudata dagli usurai che continuano a presentare le loro rapine come “salvataggi”. 
Dunque se non la vendita dell’oro, per lo meno la sua cessione in pegno per poter piazzare le obbligazioni a tassi  vicini allo zero e potersene infischiare dei “mercati” e dello “spread” troverebbe facilmente un appoggio popolare. Meglio in ogni caso magari  anche vendere una parte delle riserve auree - che non rendono nulla – piuttosto che svendere il patrimonio industriale o lasciarlo deperire per impossibilità di finanziarne lo sviluppo. 
Lo scopo finale di qualunque manovra economica di un governo sensato dovrebbe essere di far passare gradualmente i titoli di credito dalle mani degli stranieri a quelle degli italiani e contemporaneamente (ma sarebbe una conseguenza diretta grazie al ritorno del risparmio in Italia) ridurre il debito stesso grazie alla riduzione dei suoi costi. A sua volta si riaprirebbero possibilità di investimento e con una crescita economica sensata aumenterebbero an ceh gli introiti fiscali. La crescita non va poi intesa necessariamente soltanto in termini quantitativi, ma piuttosto qualitativi: non maggiori prodotti ma qualitativamente migliori, invertendo una prassi che algtrove sta fallendo  (4).
IL governo attuale, attaccato da ogni parte può o soccombere in liti interne o per viltà  svuotare di contenuto le promesse fatte agli elettori, come ha fatto il traditore Tsipras svendendo la Grecia agli usurai. Ma se c'è un' alternativa questa consiste nel rischiare la difficile via delle vere riforme, iniziando dalle fondamenta, che sono appunto il recupero della sovranità finanziaria e poi monetaria. Giocare l’asso nella manica, cioè utilizzare le riserve auree per fronteggiare l’attacco inevitabile dei “mercati” , cioè degli speculatori usurai favorirebbe il successivo  e decisivo inevitabile passaggio, l’uscita dall’euro, quale preludio alla riconquista della possibilità di pianificare e finanziare lo sviluppo. 
Chiaramente cadranno anche privilegi e interessi – miopi ma tenaci – di chi dall’attuale deindustrializzazione e sull’insostenibile posizione del debito dell’Italia ha tutto da guadagnare.
In particolare i più pericolosi avversari sono i fondamentalisti della religione neoliberista che, incapaci di anche soltanto pensare ad uno sviluppo economico innovativo, preferiscono continuare ad estrarre un sicuro ed immediato seppur ridotto plusvalore dall’abbattimento dei diritti dei lavoratori e dalla loro precarizzazione nonché ultimamente anche dal  conflitto fra residenti ed immigrati , piuttosto che impegnarsi in investimenti ed innovazione che favoriscano una crescita sostenibile e, stabile anche nel lungo termine.
È´dagli attacchi di  costoro il governo attuale deve prepararsi a parere i colpi, invece di perdere tempo a giustificarsi con i rimasugli ammuffiti delle sedicenti sinistre “illuminate” che balbettano i mantra  dell’umanitarismo internazionalista e che nella loro ipocrita stoltezza distribuiscono epiteti di fascismo e razzismo a destra e manca, quando se si guardassero allo specchio e fossero capaci di vedersi, si renderebbero conto della loro insignificante nullità, dissimulata dietro la facile retorica che gli elettori in maggioranza hanno riconosciuto in tutta la sua pretestuosa falsità e giustamente  rifiutato.


A tal proposito basterebbe imparare dagli errori altrui: invece di conquistare a breve termine i mercati grazie a truffe ignobili (con disprezzo della salute dei cittadini ma pagate con salate multe ed una valanga di  processi)  come fatto sistematicamente dalle industrie automobilistiche tedesche, basterebbe puntare onestamente sulla qualità e sulla creatività italica. In passato questa tradizione aveva condotto l’Italia a divenire una delle maggiori  potenze industriali mondiali, la decadenza attuale dovuta ai governi degli ultimi decenni può e deve essere invertita, costasse anche una buona parte delle riserve auree.  

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