Non col ferro ... ma con l'oro.
Come l’Italia potrebbe uscire dall’euro senza drammi e senza spese.
I problemi del
debito pubblico (“sovrano”) italiano si sono acutizzati alle soglie
dell’introduzione dell’euro, come conseguenza dell’inserimento dell’Italia nel
“serpentone monetario”, l’anticamera ideata per giustificare l’esperimento –
assurdo e nato morto – dell’euro.
Nell’anno 1999 il
debito pubblico (cioè le obbligazioni emesse dallo Stato) era detenuto per il
25 % dagli italiani e per il 27 % da stranieri (1).
Come è noto la
crisi economica del 2008 iniziò a falcidiare i risparmi degli italiani, che dovettero ridurre gli acquisti di BOT e simili certificati di debito pubblico, comprati invece da stranieri, come confermano eloquentemente questi dati:
anno 2011:
obbligazioni detenute per il 21 % da
italiani, per il 40 % da stranieri
anno 2014 :
obbligazioni detenute per il 13 % da
italiani, per il 33 % da stranieri
anno 2018 :
obbligazioni detenute per il 6 % da
italiani, per il 32 % da stranieri
Dunque gli
interessi del debito pubblico che nel 1999 finivano per ¼ in mano agli
italiani, ora finiscono per quasi 1/3 in mano agli stranieri. Soltanto il magro 6% è ancora in mano agli italiani, e non potrebbe essere altrimenti visto
l’impoverimento progressivo indotto dalla disastrosa moneta unica e dalle ancor
più disastrose ed insensate politiche di austerità.
Quant’è in misura
assoluta il debito pubblico italiano ? Dati di maggio 2018: 2.327 miliardi di
euro (2). Rispetto al PIL intorno al 132 %, cioè 32 % in più del prodotto
interno lordo di un anno. Questo debito è finanziato soltanto per il 6 % dagli Italiani, quindi gli interessi che lo Stato paga per finanziare questo debito
finiscono (v. sopra, per il 32 %,
cinque volta tanto) in mano a stranieri.
Ad aggravare la situazione
interviene inoltre il fatto che a dettare il livello di interesse sono i
compratori, e quindi sono di fatto gli investitori stranieri che decidono
quanto farsi pagare dallo Stato italiano. L'Italia grazie all'euro è finita in balia degli speculatori internazionali, indifesa.
Questi certo sono fatti noti, li riporto
unicamente per riassumere i dati di partenza della successiva riflessione.
L’Italia nell’ultimo decennio ha perduto
larga parte delle proprie capacità industriali, quindi mercati esteri e possibilità di
esportazione. Quote recuperate in larga parte dalla Germania, che praticando
sistematicamente la moderazione salariale per liquidare la concorrenza degli
altri Paesi dell’UE (un singolare
metodo di praticare la “cooperazione europea” che la Germania invoca dagli
altri Paesi dell’Unione!) offre della propria economia un quadro rassicurante
per gli investitori (profitti elevati e poca tutela dei lavoratori) e quindi riesce a piazzare le proprie obbligazioni
addirittura a tassi di interesse nullo o negativo.
Tuttavia l’Italia
avrebbe un asso nella manica che finora non ha utilizzato: possiede subito dopo USA, Germania e FMI le quarte maggiori
riserve auree mondiali (3).
Queste riserve
finché restano nei forzieri non rendono nulla, ma se fossero utilizzate per garantire il debito pubblico, cioè se
ad es. le obbligazioni emesse fossero convertibili in oro, in tutto o in parte,
l’Italia non avrebbe concorrenti a livello europeo e potrebbe piazzare il
proprio debito anche a tassi nulli o negativi come la Germania: quello che
volgarmente viene chiamato “spread” rispetto ai tassi tedeschi si invertirebbe
a favore dell’Italia.
Certo la Germania
ha riserve auree maggiori dell’Italia e potrebbe fare lo stesso gioco: ma ben difficilmente un qualunque governo
tedesco avrebbe la forza politica di presentare una tale misura a cittadini che
già detestano l’euro e nutrono nostalgie per il vecchio marco. Nessun governo
tedesco rischierebbe il suicidio politico proponendo una vendita di oro contro
euro.
Per l’Italia il caso è diverso, i cittadini sanno che prima o poi si finirà
per dover non dico vendere ma regalare il patrimonio pubblico (industrie,
infrastrutture) tramite le “privatizzazioni” obbligatorie per sanare il debito
pubblico insostenibile. In altre parole, incombe sull'Italia il destino della Grecia, denudata dagli
usurai che continuano a presentare le loro rapine come “salvataggi”.
Dunque se
non la vendita dell’oro, per lo meno la sua cessione in pegno per poter
piazzare le obbligazioni a tassi vicini
allo zero e potersene infischiare dei “mercati” e dello “spread” troverebbe facilmente un
appoggio popolare. Meglio in ogni caso magari
anche vendere una parte delle riserve auree - che non rendono nulla –
piuttosto che svendere il patrimonio industriale o lasciarlo deperire per
impossibilità di finanziarne lo sviluppo.
Lo scopo finale di qualunque manovra economica di un governo sensato
dovrebbe essere di far passare gradualmente i titoli di credito dalle mani degli stranieri a quelle degli italiani e
contemporaneamente (ma sarebbe una conseguenza diretta grazie al ritorno del
risparmio in Italia) ridurre il debito stesso grazie alla riduzione dei suoi costi. A sua volta si riaprirebbero possibilità di investimento e con una
crescita economica sensata aumenterebbero an ceh gli introiti fiscali. La crescita non va poi intesa necessariamente soltanto in termini quantitativi, ma piuttosto qualitativi: non maggiori prodotti ma qualitativamente
migliori, invertendo una prassi che algtrove sta fallendo (4).
IL governo attuale, attaccato da ogni parte può o soccombere in liti
interne o per viltà svuotare di
contenuto le promesse fatte agli elettori, come ha fatto il traditore Tsipras
svendendo la Grecia agli usurai. Ma se c'è un' alternativa questa consiste nel rischiare la difficile via
delle vere riforme, iniziando dalle fondamenta, che sono appunto il recupero
della sovranità finanziaria e poi monetaria. Giocare l’asso nella manica, cioè
utilizzare le riserve auree per fronteggiare l’attacco inevitabile dei
“mercati” , cioè degli speculatori usurai favorirebbe il successivo e decisivo inevitabile passaggio, l’uscita
dall’euro, quale preludio alla riconquista della possibilità di pianificare e
finanziare lo sviluppo.
Chiaramente cadranno anche privilegi e interessi –
miopi ma tenaci – di chi dall’attuale deindustrializzazione e
sull’insostenibile posizione del debito dell’Italia ha tutto da guadagnare.
In particolare i più pericolosi avversari sono i fondamentalisti
della religione neoliberista che, incapaci di anche soltanto pensare ad uno
sviluppo economico innovativo, preferiscono continuare ad estrarre un sicuro ed immediato
seppur ridotto plusvalore dall’abbattimento dei diritti dei lavoratori e dalla
loro precarizzazione nonché ultimamente anche dal conflitto fra
residenti ed immigrati , piuttosto che impegnarsi in investimenti ed innovazione che
favoriscano una crescita sostenibile e, stabile anche nel lungo termine.
È´dagli attacchi di costoro il
governo attuale deve prepararsi a parere i colpi, invece di perdere tempo a
giustificarsi con i rimasugli ammuffiti delle sedicenti sinistre “illuminate” che balbettano i mantra dell’umanitarismo internazionalista e che nella loro ipocrita stoltezza distribuiscono
epiteti di fascismo e razzismo a destra e manca, quando se si guardassero allo
specchio e fossero capaci di vedersi, si renderebbero conto della loro insignificante
nullità, dissimulata dietro la facile retorica che gli elettori in maggioranza hanno
riconosciuto in tutta la sua pretestuosa falsità e giustamente rifiutato.
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