Sonntag, 21. Oktober 2018

II. Bilinguismo:  come i bambini si impadroniscono del linguaggio. (Parte seconda) 


Tutti i bambini imparano almeno una lingua (non faremo qui distinzioni fra lingue o dialetti da punto di vista della funzione comunicativa e degli stadi di sviluppo del linguaggio è indifferente quale codice linguistico viene usato). Gli studi sul come si sviluppa la padronanza del linguaggio da parte dei bambini sono numerosissimi, ma la maggior parte di essi si limita a stabilire le tappe facilmente osservabili da qualunque genitore: inizialmente i  bambini emettono suoni o combinazioni di vocali apparentemente prive di significato , poi verso un anno d’età cominciano con le prime parole che poi fino verso i tre anni continuano a combinare in funzione di frasi dapprima senza uso di regole sintattiche o di preposizioni o congiunzioni, poi con adeguamento graduale alle regole ed un rapido  ampliamento del vocabolario, che verso i cinque anni  consiste di alcune migliaia di parole.

Sebbene questi progressi graduali corrispondano in generale a determinate età, tuttavia possono esservi differenze anche notevoli fra bambini che apprendono una stessa lingua anche a parità di condizioni, e gli eventuali “ritardi” rispetto alla  cosiddetta “norma” non sono sempre patologici. Un esempio notissimo: Albert Einstein non iniziò a parlare che a 4 anni, ma ciò non gli impedì di divenire un grande fisico e matematico.  Importante è l’esposizione costante alla lingua, cioè che i genitori parlino coi figli (mentre invece mettere i bambini davanti al televisore è poco utile e generalmente negativo).
Nonostante il gran numero di studi sull’argomento ben poco si sa esattamente sul come i bambini apprendono la lingua. Certo è unicamente, che  il cervello umano è predisposto a questo apprendimento, ed infatti anche un’esposizione molto limitata al linguaggio, ogni bambino impara qualunque lingua. Magari in ritardo rispetto ad altri, che hanno avuto più occasioni di ascoltare genitori o altri parlanti, ma salvo casi patologici la lingua ad un certo punto appare e il bambino è in grado di combinare parole e produrre secondo le regole della lingua anche frasi che non ha mai sentito. Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che il linguaggio sia “innato” e che una volta forniti gli elementi essenziali (esempi sul come funzionano le regole, che ovviamente il bambino estrae dalle frasi che ascolta) il linguaggio emerga come se fosse stato sempre presente nella mente del bambino. Un’ipotesi suggestiva che ha in parte qualcosa di vero: in fondo ogni lingua altro non è che la combinazione di suoni in parole secondo regole specifiche (vocali e consonanti, sillabe, parole, frasi, combinate con una certa intonazione e cadenza). Il bambino inizia imitando e scopre poi gradualmente le modalità con cui gli adulti eseguono le combinazioni e diviene col tempo in grado di “generare” non soltanto le frasi che ha ascoltato ma anche altre nuove mai udite. Dunque l’apprendimento delle lingue non avviene semplicemente per imitazione, ma è un processo creativo. Molto precocemente ogni bambino adegua i suoni che produce e poi le parole secondo i modelli dei parlanti che gli stanno intorno, ma poi sviluppa il proprio linguaggio per esprimere i propri desideri e stati d’animo e in modo pragmatico per comunicare  ciò che vuole ed ottenere ciò che desidera.
La funzione del linguaggio non finisce però qui. Insieme alla lingua il bambino apprende a conoscere il mondo ed a sviluppare concetti per capire e compiere ragionamenti. Sui rapporti fra pensiero e linguaggio gli studi non si contano, ma nonostante i metodi più moderni di ricerca ben poco si sa esattamente sui rapporti reciproci. Alcuni ricercatori avevano ipotizzato che la povertà del linguaggio coincidesse anche con una scarsa intelligenza o limitata capacità di ragionamento. 
Ma è stato dimostrato ampiamente il contrario: anche chi possiede un linguaggio  “povero” (“codice ristretto”) è in grado di compiere ragionamenti esattamente come chi possiede un ampio e differenziato vocabolario (“codice elaborato”). Avrà sì difficoltà ad esprimere il proprio pensiero, perché gli mancano i termini specifici, ma ciò non significa che il suo pensiero sia limitato come il suo linguaggio. Questo per quanto riguarda la vita quotidiana. Per apprendimenti più complessi ovviamente servono i termini specifici: per parlare di algebra o di chimica devo conoscere il linguaggio matematico o i nomi degli elementi e dei concetti  per descrivere le combinazioni matematiche o chimiche, così come per comporre devo conoscere le regole dell’armonia. Ma qui si entra nel campo specialistico, al quale si arriva partendo dal linguaggio ordinario per addizione di termini e per loro differenziazione. Ad es. per l’uso quotidiano ci basta conoscere la differenza fra il rosso ed il verde, ma un pittore deve invece conoscere le dozzine di variazioni  e sfumature di questi colori. A questo punto si comprende bene che l’apprendimento linguistico dura … tutta la vita, cioè non si esaurisce ad una certa età ma continua finché si apprendono cose nuove.

E se l’apprendimento del linguaggio da parte del bambino avviene come abbiamo sopra esposto, nulla vieta che si possano apprendere contemporaneamente lingue diverse, ed infatti questo è il caso più frequente in tutto il mondo: le rilevazioni statistiche dimostrano che  almeno la metà dell’umanità –attualmente oltre tre miliardi e mezzo-  è bilingue,  ed un’alta percentuale parla correntemente tre o più lingue diverse.
La concezione purtroppo ancora diffusa che il  caso normale sia l’apprendimento di una sola lingua è il risultato di una aberrazione nazionalistica, emersa nell’era moderna con la formazione degli Stati nazionali: nell’antichità e ancora nell’ Ottocento invece, chiunque non vivesse in un paesino isolato, giocoforza padroneggiava in qualche misura più di una lingua: quella locale (per chiarezza chiamiamola “dialetto”), quella regionale che era una variante più o meno lontana ed infine lingue di stranieri con cui veniva a contatto. Certamente si trattava di conoscenza limitata, cioè delle cosiddette “lingue franche”, usate per scopi pratici di comunicazione, un po’ come l’inglese usato oggigiorno dai turisti e negli scambi economici internazionali, che è una versione pratica  ma una “sorella molto povera e maltrattata” dell’idioma  nel quale hanno scritto i grandi letterati e che viene utilizzato nei Paesi di lingua inglese.
Ma tornando al modo di apprendimento linguistico dei bambini dobbiamo aggiungere un punto spesso ignorato dagli specialisti che studiano il bilinguismo:  se nella crescita il bambino evolve in tutti gli altri aspetti cognitivi, nel settore linguistico c’è insieme all’evoluzione anche un’inevitabile … involuzione. Il bambino esposto ad una sola lingua infatti perde gradualmente la capacità di percepire i suoni estranei a questa lingua.  Questa perdita avviene molto precocemente, infatti mentre alla nascita i bambini sarebbero teoricamente in grado di percepire distintamente i suoni di tutte le lingue (ed infatti riconoscono molto bene la voce dei genitori distinguendola da quella di chiunque altro), tra i sei mesi ed un anno d’età gradualmente perdono queste capacità e la loro percezione si concentra – e limita - alle distinzioni rilevanti per le lingue che vengono loro parlate. Es.: per un bambino italiano il suono delle consonanti “b” e “p” è percepito chiaramente come differente, ed infatti nella lingua serve a distinguere parole diverse (es. “pere” e “bere”). Per un bambino arabo la differenza è irrilevante poiché nella sua lingua la “p” non esiste ma soltanto la “b”. Nel caso cresca bilingue invece la differenza non va perduta se esiste nell’altra lingua che apprende nel medesimo tempo. 
Crescendo dunque i bambini perdono la capacità di percepire le differenze rilevanti per lingue che non conoscono ma che non esistono nella lingua a cui sono esposti.
Sarebbe ovviamente impossibile ed assurdo esporre un bambino a centinaia di lingue, ma due lingue sono già un grande vantaggio cognitivo: oltre alla maggiore flessibilità nel percepire suoni diversi il bambino apprende senza fatica a riconoscere che le cose possono avere nomi diversi, che esistono modi diversi di esprimere concetti e acquista maggior facilità nell’articolare i suoni di ambedue le lingue, cosa che tornerà molto utile in seguito per apprendere altre lingue. Dunque il bilinguismo è vantaggioso sotto molti punti di vista tecnici e pratici, ma come vedremo anche dal punto di vista culturale  (maggiore apertura mentale) e non ultimo professionale è certo un vantaggio indiscutibile.
Se è possibile, quali sono le condizioni e le migliori strategie educative ?
Nella prossima puntata esamineremo in concreto quali possibilità esistono per genitori che parlano lingue diverse di educare i figli in modo bilingue secondo le specifiche circostanze.
(Graziano Priotto, Praga/Radolfzell). 

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