Sonntag, 31. März 2013

  Crupier, direttori di banca e teatro. 


Se si retribuissero i crupier con lauti "bonus" come quelli che si concedono i direttori dei grandi istituti bancari il contribuente sarebbe chiamato a salvare anche i casinò con l'aumento delle tasse e non solo le banche.
In fondo le due istituzioni sono divenute molto simili per le operazioni che svolgono, fermo restando che i casinò sono rimasti fedeli alla loro finalitá originaria (spennare i creduloni vendendo l'illusione di facili guadagni), mentre le banche hanno abbandonato il loro fine istituzionale (raccogliere il risparmio ed investirlo in attivitá produttive).

I grandi istituti bancari si sono sostanzialmente ridotti a scimmiottare i casinò, giocando con derivati e strumenti speculativi sempre più rischiosi e puntando i soldi dei clienti, ma con una variante: quando vincono erano soldi loro, se perdono erano quelli dei clienti. E non ci sarà regolamentazione che tenga se non si mette fine a questo gioco al massacro (dei risparmiatori). Ciò anche a prescindere dalle rapine vere e proprie ai danni dei risparmiatori effettuata da alcuni istituti per finanziare e foraggiare partiti politici in una corruzione a tutti i livelli. Ne abbiamo una prova che finirà certo su tutti i libri di testo in materia, cosí come lo schema "Ponzi" (il più imitato e ultimamente noto come sistema "Madoff" negli USA), il "Monte dei Paschi" ribattezzato probabilmente "Monte dei Fiaschi" servirà ad illustrare come la corruzione politica e l'incapacità dilettantesca se coniugate possono aver ragione anche delle banche più serie e di lunghissima tradizione.
   
In alcuni Stati (es. Germania) ci sono banche ancora dedite unicamente alla funzione originaria, sono cooperative ("Genossenschaften") in cui i clienti sono soci e partecipano agli utili, ma che per statuto non possono rischiare i depositi dei clienti coi giochi speculativi coi derivati. Assistono sí  i clienti che sono vaghi di queste speculazioni, ma solo quando li fanno coi propri capitali.
Queste banche sarebbero il modello da seguire per risanare il sistema, ma purtroppo - res sic stantibus - sono destinate a rimanere di modeste dimensioni poiché la massa degli illusi, avidi di guadagni ma incapaci di speculare direttamente coi complicati strumenti dei derivati, si affidano ai grandi istituti che coi soldi dei clienti giocano in proprio promettendo quei lauti guadagni che poi spesso si rivelano colossali perdite.  
E poiché anche l'investimento in azioni non è immune - oltre che dal naturale rischio - da manipolazioni e scarsa trasparenza dovute alla collusione fra le società che entrano in borsa e le banche emittenti (il caso Telekom in Germania è sintomatico, quello di Facebook negli USA idem), l'investimento azionario che sarebbe il passo fondamentale per riportare le banche alla loro primitiva funzione, raccoglie soltanto una parte molto ridotta del risparmio. 

Il caso di Cipro é di grande valenza didattica: spiega come un problema annoso viene scientemente ignorato per permettere a pochi e fino all'ultimo i guadagni più strepitosi e poi, con la minaccia del fallimento e della miseria, far pagare il conto ai malcapitati che dalla speculazione sulle loro teste non hanno guadagnato nulla.
Da almeno due anni era pubblicamente nota la situazione insostenibile delle banche cipriote, a chi avesse voluto conoscerla. E da molto prima era comunque facilmente prevedibile.
Quando il giro d'affari delle banche supera di parecchie volte il valore del PIL di un Paese, significa che l'economia reale è preda del mondo della finanza. Che dietro il capitale ormai solo "virtuale" c'è il nulla.
come i villaggi Potemkin dietro le facciate degli edifici, e che i capitali in gioco non hanno più alcuna concreta relazione con il settore produttivo.
Ci sono è vero, casi particolari, come quello del Lussemburgo, dove il giro d'affari bancario supera di 20 volte il PIL: ma in questo caso non si può fare il riferimento al PIL poiché il Lussemburgo più che uno Stato è una gigantesca banca con un Paese al suo servizio. L'economia reale del Lussemburgo è in fondo quella dei Paesi - europei e non - dai quali sono partiti i capitali che colà sarebbero serviti ad investimenti produttivi e che invece si sono comodamente rifugiati in questo Eldorado fiscale (che poi è soltanto una tappa del percorso verso altri siti: Singapore, Andorra, Gibilterra, Isole Cayman, Guernsey, ecc.ecc.).

Crede che i tradizionali partiti politici in Europa in generale ed in Italia in particolare possano mettere fine a questa corsa verso la rovina dell'economia reale è paragonabile all'infantile credenza del Babbo Natale.
I Napoletani dicono giustamente "pancia piena non intende ragione" e i Piemontesi "chi sta bene non si muove". In ambedue i casi si evidenzia che è inutile attendersi il cambiamento da chi sta bene con lo status quo. Illudersi che siano partiti o sindacati ad invertire la rotta è credere ai miracoli, che in economia non si sono mai visti. Il famoso "miracolo economico" della generazione del primo dopoguerra è stato infatti il risultato di un gigantesco sforzo produttivo in un periodo in cui ancora il Capitale Finanziario non era riuscito a vanificare le regole imposte nel periodo bellico.
Il seguito lo si conosce. Ed ora siamo praticamente all'ultimo atto: siamo passati dall'Opera eroica all'Opera giocosa, alla commedia degli inganni del periodo craxiano scaduta poi nella volgarissima farsa dozzinale del ventennio berlusconiano/prodiano/d'alemiano. Ora tutto fa pensare che siamo giunti o all'Opera seria o alla tragedia.

E su tutto si potrà discutere meno che su un punto: qualunque cosa si vada a recitare, bisognerà assolutamente cambiare gli attori.



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Sonntag, 10. März 2013

In morte di Hugo Chavez: i suoi meriti per l'economia venezuelana

 
Si apre il Conclave (cioè si chiudono i Grandi Elettori sotto chiave): curiosi paralleli elettorali. 


Non trascorre praticamente un mese senza che da qualche parte del mondo avvenga un’elezione:  vere, fasulle, democratiche o addomesticate, contestate o ignorate, pilotate, o annullate, ce n’è di ogni gusto e colore.
La settimana entrante inizierà (e forse anche si concluderà) una delle elezioni più curiose per modalità teatrali e per numero di interessati. Non elettori, che sono poco più di un centinaio, ma per i milioni di credenti che si troveranno a riavere presto un sommo capo le cui parole in materia di fede suoneranno infallibili. Un attributo questo che nessun altra monarchia assoluta o dittatura ha mai avuto il coraggio di attribuire ai propri regnanti o conduttori supremi.
Nelle modalità di voto il “conclave” nella Cappella Sistina ricorda da vicino le modalità con cui nell’Unione Sovietica il Politbureau o Comitato Centrale sceglieva il Segretario Generale (Генеральный секретарь ЦК КПСС) del partito che diveniva di fatto il detentore effettivo del potere.
Che l’elezione di un nuovo pontefice avvenga “sotto chiave” come significa il termine “conclave” ha buoni motivi storici e comprensibili ragioni pratiche.
Se avvenisse con un’elezione pubblica come quella ad esempio del Presidente della Repubblica italiana, nella seduta comune del Parlamento, con maggioranza di due terzi inizialmente e semplice dal terzo scrutinio in poi, si assisterebbe al mercato dei voti, ad una campagna elettorale e quindi a promesse (magari indulgenze o simonie) e potrebbe inoltre verificarsi una situazione di stallo; in conclusione sarebbe poi difficile continuare a sostenere che il personaggio risultato eletto magari con modalità magari poco edificanti divenga seduta stante infallibile. Se anche non pesanti come nei secoli passati (quando re ed imperatori o gruppi di cardinali facevano eleggere e deponevano a loro piacimento i pontefici e più volte si ebbero papi ed antipapi in guerra fra di loro) anche le ingerenze secolari si farebbero sentire.
Dunque è legittimo che l’elezione del Pontefice avvenga a porte chiuse: se non altro per motivi di decenza (meglio non sapere come arriveranno i cardinali a concentrare i voti su uno di loro, o meglio come farà costui a ottenerli) .
Ma detto ciò, non si può non vedere come questo tipo di scelta di un capo sia quanto di più antidemocratico si possa immaginare. La “Glasnost” è vero ha provocato il crollo dell’Unione Sovietica, ma anche del Muro di Berlino. I muri del Vaticano sono tuttavia indistruttibili, quindi inutile perdere tempo con la “Glasnost”.
E’ prevedibile che una religione legata ad un apparato ecclesiastico strutturato in maniera così autoreferente non possa sperare di espandersi in un mondo che della trasparenza e della democraticità ha fatto gli ideali da perseguire, anche se la strada verso di essi si rivela spesso tortuosa. Ma una riforma interna appare impossibile: ci vorrebbe un miracolo.
Il Papato stesso, come istituzione venutasi a creare gradualmente nel corso della storia poiché priva di alcun fondamento evangelico (il primato del vescovo di Roma ha motivi contingenti e storici, ma  il “Tu es Petrus” imposto come dogma è un’evidente …impostura).
E se si vede la storia del Cristianesimo sotto questa luce si scopre che l’invenzione delPapato ed il suo rafforzamento continuo fino a farlo divenire una vera e propria Monarchia Assoluta ha conferito sí grande potere temporale e politico alla Chiesa Cattolica , ma è stato ed è altresì la fonte di tutte le numerosissime scissioni (dagli ortodossi fino ai seguaci di Lefebre) nonché delle guerre spietate (dal massacro dei Catari/Albigesi attraverso le persecuzioni ai Valdesi fino alla  Riforma Protestante luterana, con la guerra dei 30 anni e la decimazione delle popolazioni dell’Europa Centrale).
Dunque il Papato, che in questa forma assolutistica esiste unicamente nella Chiesa Cattolica,        
è uno strumento di dominio ed espansione, ma nel mondo moderno finirà probabilmente di fare la fine del suo parallelo, il Politbureau. In ogni forma di organizzazione sia politica che religiosa l’accentramento del potere conferisce sí per un certo tempo maggior forza espansiva, ma conduce inesorabilmente alla frantumazione ed al dissolvimento. E ciò soprattutto per un motivo inevitabile: accentramento si coniuga indissolubilmente con irrigidimento e dogmatismo. Caratteristiche queste che impediscono il cambiamento e l’accoglimento delle istanze della base. Cosí si sono dissolti nel corso della storia tutti gli imperi: quello Persiano,  Romano, il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, quello Ottomano, quello Sovietico, altri che non nomino seguiranno.
Se c’è un insegnamento valido che possiamo trarre con certa sicurezza dalla storia è questo: il crollo degli imperi avviene sempre, ma nei modi e nei tempi meno prevedibili.
Sarebbe dunque assurdo fare una previsione sulla presumibile durata ulteriore della Monarchia Vaticano-Cattolica.
Unico punto di riferimento: il dissolvimento è causato dall’accentramento dei poteri ma non parte mai dall’interno. Ed in questo caso specifico, visto il segreto assoluto che circonda i poteri centrali e la loro indiscutibilità pena scomunica ed emarginazione, si può unicamente immaginare che il dissolvimento non sarà né prossimo né indolore.
Ma intanto possiamo teatralmente goderci la sontuosa commedia del Conclave, con le fumate nero-bianche e le sfilate in costume, un prolungamento del Carnevale in periodo quaresimale.
Mi dispiace soltanto per le donne: per la Chiesa cattolica continueranno ad essere anime di seconda classe. Anzi di terza, visto che al secondo posto ci sono già i laici maschi.